Domenica 19 giugno 2011
SANTISSIMA TRINITÀ - Solennità del Signore
LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 3, 1-15
In quei giorni. Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
Mosé scopre il suo progetto di vita poiché il Signore lo sceglie come mediatore, pastore,
responsabile del popolo di schiavi che il Signore stesso sta per liberare.
Si può dividere il capitolo in tre parti:
- l’apparizione di Dio (JHWH) al monte, “l’Oreb" (vv. 1-6),
- la vocazione di Mosé e la rivelazione del nome di Dio (vv. 7-14),
- il programma di azione.
Mosè ha lottato contro la morte e l’ingiustizia quando ha preso le difese di un ebreo schiavo,
strappandolo dalle mani di un aguzzino e uccidendo il violento. Ma, a questo punto, scopre che
tutto gli si mette contro. Anche i suoi, impauriti delle conseguenze, lo rifiutano (Es2,11-16). Così è
fuggito, trovando rifugio nel deserto, in una vita tranquilla di pastore. Si è accasato ed ha
dimenticato tutto e tutti, in una vita sempre uguale.
Poi c’è l’esperienza straordinaria del roveto che brucia senza consumarsi e via via il richiamo del
Dio vicino, che si svela progressivamente, attraverso le sue manifestazioni. Il fuoco accompagna
spesso la presenza di Dio nella Scrittura: illumina e riscalda ma anche è tempestoso e distrugge. Si
mostra inafferrabile e misterioso.
Alla curiosità di Mosé corrisponde l'invito di Dio che lo incoraggia ad avvicinarsi, ma solo e senza
sandali, senza protezione, perché il luogo è santo. I sandali, confezionati con pelle di animali
morti, profanano con la morte il luogo di Dio (ancora oggi i musulmani entrano senza scarpe nelle
moschee).
Dio parla e perciò la sua presenza suscita paura, sconvolgendo Mosé che si copre il volto. Sarà il
gesto abituale che troviamo lungo tutta la Scrittura: Elia (1 Re 19,13), i serafini di Isaia (Is 6,2) e,
su su, fino agli apostoli, sul monte della Trasfigurazione, si coprono il volto.
La Parola, che Dio pronuncia, è come una presentazione di Sé che rimanda alla storia del popolo,
all'ascendenza di Mosé che arriva fino ad Abramo e ai patriarchi. Ricordandoli, Dio garantisce la
memoria che un popolo schiavo ha perso, dimenticando così anche la sua benedizione e la sua
protezione. Ma Egli è fedele.
Il Signore, ricordando l'alleanza compiuta con i patriarchi, misura la sofferenza del suo popolo
come indegna: "Ho osservato, ho udito, conosco, sono sceso". L'analisi della situazione ha smosso
il cuore di Dio che progetta un futuro, attraverso la liberazione del popolo dalla schiavitù e
facendolo salire in un paese totalmente nuovo, ricco e fertile. Nel libro dell'Esodo si usa il verbo
“uscire” (usato 94 volte) per esprimere il significato di una liberazione-salvezza. Essa fa parte del
nucleo fondamentale della fede ebraica: "Il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto".
Non è un popolo che grida al Signore come preghiera e come speranza di intercessione. E’ un
popolo che grida per paura, per disperazione senza nessun riferimento e attesa. E Dio ascolta
questo grido.
Mosé sente la difficoltà di porsi davanti a Faraone e la risposta è curiosa. Un segno c’è ma si
avvererà quando tutto sarà finito. Siamo ad una ubbidienza totale e senza garanzie. «Io sarò con te.
Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto,
servirete Dio su questo monte»."Vado dal popolo e dico: il Dio dei nostri padri mi ha mandato. Mi
diranno: “Qual è il suo nome?”. Conoscere il nome di qualcuno, in un certo senso, è tentare di
impossessarsi della sua identità e quindi avere potere su di lui. E Dio non si svela per ciò che è
(resta sempre inaccessibile), ma per come si comporta. Il significato, infatti, corrisponde a: "Io
sono", anzi a “Io sarò colui che sarò”. Sarò una presenza fedele nei secoli e sarò accanto a questo
popolo, sottomettendo la potenza degli dei che lo opprimono.
E poiché Faraone si ritiene un Dio che vince, la lotta si svilupperà tra il Dio dell’Egitto e il Dio
degli straccioni e degli schiavi. L'ebraico non usa normalmente il verbo essere perché gli basta
avvicinare soggetto e predicato; qui il verbo essere indica un “essere all'opera”, “essere per”. Ecco
perché alla fine Dio ribadisce che il suo titolo più adeguato è «il Dio dei vostri padri, il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».: Con i patriarchi Dio è stato sempre presente,
sempre attento, sempre attivo, una compagnia continua, una protezione fedele. Questo è il suo
modo di essere, di “essere per”. E il nome divino impronunciabile per l'ebraismo, il sacro
tetragramma YHWH, suona come un Dio che “fa essere, che fa liberi”.
Ma tutto il testo esprime anche una strana povertà di Dio. Per liberare il popolo Dio ha bisogno di
Mosè e lo incalza, lo assedia, accetta tutte le sue scuse e vi pone soluzioni. Tanto è desideroso di
liberare, tanto è premuroso di mandare un liberatore, pur accettandone i limiti. E’ una grande
riflessione per noi.
SALMO
Sal 67 (68)
® Cantate a Dio, inneggiate al suo nome.
O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo,
quando camminavi per il deserto,
tremò la terra, i cieli stillarono
davanti a Dio, quello del Sinai,
davanti a Dio, il Dio di Israele. ®
Di giorno in giorno benedetto il Signore:
a noi Dio porta la salvezza.
Il nostro Dio è un Dio che salva;
al Signore Dio appartengono
le porte della morte. ®
Verranno i grandi dall’Egitto,
l’Etiopia tenderà le mani a Dio.
Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore.
Riconoscete a Dio la sua potenza. ®
EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Nel mondo ebraico non è praticata l’adozione mentre lo è nel mondo greco – romano e questo
serve a Paolo per spiegare, nella famiglia di Gesù, il rapporto con il Padre e la fraternità di Cristo.
Paolo si sforza di portare un esempio comprensibile alla cultura corrente (è una lettera scritta ai
romani): il figlio adottivo riceve lo stesso trattamento dei figli naturali, gode degli stessi diritti e
partecipa all’eredità.
Ma Paolo, nella sua sintesi, oltrepassa l’esempio per regalarci il significato della vita del credente
che supera il linguaggio giuridico per arrivare alla trasformazione interiore di figli di una stessa
famiglia. La nostra vita è un cammino. "Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono
figli di Dio".
Siamo sulla linea dell'Esodo, del popolo che cammina e che ha bisogno di una presenza e di un
orientamento. Se l'Esodo è stato, fondamentalmente, caratterizzato dal triplice movimento: "uscire
- camminare - entrare", qui Paolo si richiama al momento intermedio del “camminare” nel deserto.
E’ un cammino coraggioso e bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito come Gesù che "fu condotto
dallo Spirito nel deserto" (Lc 4,1). Lo Spirito guida, anima, ispira, conforta chiunque si rende
docile alla sua azione, chiunque non lo rattrista ("Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio,
con il quale foste segnati per il giorno della redenzione." (Ef4,30).
"Figli di Dio e non schiavi". Lo schiavo ubbidisce ma il suo cuore è in conflitto con chi lo
comanda. Invece Gesù vede l'obbedienza con amore e ci annuncia che noi siamo figli adottivi,
trasformati interiormente con il dono di un animo capace di sentire e invocare Dio come Padre.
Lo Spirito crea in noi questa novità e sviluppa la disponibilità ad invocare Dio come "Papà" ("Abbà")
dal giorno del Battesimo.
In conclusione si sviluppa in questo breve testo una splendida rivelazione trinitaria che garantisce
una famiglia nuova con Dio. Siamo in una presenza inimmaginabile di pienezza e di amore: di
amore di Dio per noi.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 16, 12-15
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Commento
Giovanni indica, nei “discorsi di addio” di Gesù, il ruolo dello Spirito Santo, come garante della
verità. E' chiamato "avvocato difensore" (Paraclito: 15,26; 16,7), dono del Padre (14,16-26);
capace di rendere testimonianza a Gesù (15,26), lo glorifica (16,14) e prende le sue difese di fronte
al mondo (16,8). Sarà mandato da Cristo ma come comune dono di sé e del Padre (15,26). Ha
infatti origine presso il Padre e il Figlio, viene dal cielo: Nell'ora della prova non lascerà soli i
discepoli, ma il Paraclito rafforzerà la loro fede e li renderà capaci di una testimonianza
coraggiosa. La sua missione specifica, poi, è quella di "avvocato difensore" di Gesù sia per
"convincere il mondo" di essere nel peccato quando lo rifiuta come Cristo e Signore, e sia di non
essere nel giusto quando lo condanna a morte perché si è proclamato Figlio di Dio. Soprattutto
compito dello Spirito è di operare nella coscienza dei credenti una vera e propria revisione del
processo di Gesù (16,8-11).
Qui, in questo testo, ci sentiamo in un clima di addio, con significativi richiami al futuro,
nell’imminenza del distacco da Gesù. Gesù è consapevole degli avvenimenti prossimi che si
svolgeranno nello spazio di poche ore e che saranno sconvolgenti. Sa che i discepoli non capiranno
nulla, ma sa anche che ogni spiegazione fatta ora è troppo pesante e assolutamente
incomprensibile. Perciò viene fatta una promessa che abbraccia, insieme, sia gl avvenimenti
prossimi, tragici e assolutamente oscuri, e sia il futuro in cui i discepoli si troveranno come
disorientati, con un messaggio enorme e una fragilità intellettuale e psicologica drammatica.
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (v 12).
Nell'apparente abbandono del gruppo dei discepoli un altro ospite terrà il posto di Gesù mentre il
risorto ritorna al Padre. La missione di Gesù è finita e lo Spirito Santo sarà testimone della sua
presenza (Gv.14,26; 15,26). “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”
(v13).
Il compito dello Spirito continua l'azione di Cristo poiché rende presente, in modo nuovo, la novità
di Dio tra noi, anche se non tangibilmente. Lo Spirito ci aprirà gli occhi. Nonostante le molte "cose
pesanti" da cogliere e da portare, dice Gesù, lo Spirito sosterrà questo Regno, questo suo sviluppo
dinamico, questa esperienza nuova e, spesso, controproducente e paradossale, i segni e le proposte,
le regole di vita cristiana (il giogo, per i rabbini, era il peso della legge), la fedeltà a Dio e agli
uomini, il sacrificio della fatica e della coerenza.
Tutto questo si mostrerà e lo Spirito ci sosterrà e non saranno cose nuove ma verranno da ciò che
Gesù ha detto, ha creduto ed ha vissuto.
In questa azione, in questa presenza e in questo cammino nella storia si svela la Trinità.
- La ricchezza del Padre che crea ed è sempre aperto per ricreare un mondo nuovo è
garanzia di vita.
- La gloria del Figlio che ha accettato di vivere la fatica di riconciliazione nel mondo e
l’obbedienza al progetto del Padre costituisce finalmente la famiglia gioiosa e aperta di Dio.
- Lo Spirito continua ad alimentare il dono della vita, della verità e della speranza.
Lo Spirito ha un'azione educativa da svolgere.
Al centro resta la Parola di Gesù che viene dal Padre, delineando il progetto di orizzonti di luce, e
viene riproposta nella storia dallo Spirito.
E nella storia lo Spirito sostiene il procedere fiducioso di una umanità che, alimentata ogni giorno
da una presenza silenziosa, riscopre ricchezze di verità e desideri di comunione nonostante i
cumuli di macerie, di ingiustizie, di ipocrisie e di guerre.
Tutta la storia va letta, allora, come opera di una umanità visitata dal Dio Trinitario. L’umanità, in
essa, consapevole o meno, è sostenuta da una presenza assidua, discreta, avvolgente di vita e di
bellezza che, comunque, non ci abbandona e chiede ai credenti in Gesù di essere portatori fedeli e
consapevoli della Parola sempre nuova del Signore.
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