venerdì 18 novembre 2011

domenica 20 novembre seconda di Avvento

Lettura del profeta Isaia 51, 7-12a

Così dice il Signore Dio: / «Ascoltatemi, esperti della giustizia, / popolo che porti nel cuore la mia legge. / Non temete l’insulto degli uomini, / non vi spaventate per i loro scherni; / poiché le tarme li roderanno come una veste / e la tignola li roderà come lana, / ma la mia giustizia durerà per sempre, / la mia salvezza di generazione in generazione. / Svégliati, svégliati, rivèstiti di forza, / o braccio del Signore. / Svégliati come nei giorni antichi, / come tra le generazioni passate. / Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, / che hai trafitto il drago? / Non sei tu che hai prosciugato il mare, / le acque del grande abisso, / e hai fatto delle profondità del mare una strada, / perché vi passassero i redenti? / Ritorneranno i riscattati dal Signore / e verranno in Sion con esultanza; / felicità perenne sarà sul loro capo, / giubilo e felicità li seguiranno, / svaniranno afflizioni e sospiri. / Io, io sono il vostro consolatore».

SALMO Sal 47 (48)

® Il tuo nome, o Dio, si estende ai confini della terra.
Grande è il Signore e degno di ogni lodenella città del nostro Dio.La tua santa montagna, altura stupenda,è la gioia di tutta la terra. ®Il monte Sion, vera dimora divina,è la capitale del grande re.Dio nei suoi palazziun baluardo si è dimostrato. ®
Come avevamo udito, così abbiamo vistonella città del Signore degli eserciti,nella città del nostro Dio;Dio l’ha fondata per sempre. ®
O Dio, meditiamo il tuo amore dentro il tuo tempio.Come il tuo nome, o Dio,così la tua lode si estende sino all’estremità della terra;di giustizia è piena la tua destra. ®
Circondate Sion, giratele intorno.Osservate le sue mura,passate in rassegna le sue fortezze,per narrare alla generazione futura:questo è Dio, il nostro Dio in eterno e per sempre. ®

EPISTOLA
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 15, 15-21

Fratelli, su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo.Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito.Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma, come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno».

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 3, 1-12
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri!».E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».



VANGELO: Mt 3,1-12
La seconda sezione del Vangelo secondo Matteo (Mt 3,1 – 4,22) comprende diversi passi che servono da “introduzione” alla narrazione: si è davvero agli «Inizi dell’attività di Gesù in Galilea» ed è corretto tenere uniti i capp. 3 e 4.
In questa sezione introduttiva, è possibile intravede una struttura simmetrica, che pone in primo piano il Battista.
La simmetria tra la predicazione del Battista (Mt 3,1-12) e la predicazione di Gesù (Mt 4,17) è sorprendente ed è un elemento che dovrà essere spiegato quando se ne da un’adeguata esegesi. Le parole del maestro Giovanni sono infatti ripetute da Gesù, senza alcuna variazione, all’inizio della sua attività in Galilea, non appena Giovanni è imprigionato per ordine di Erode Antipa (cf vv. 3 e 17: μετανοεῖτε· ἤγγικεν γὰρ ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν «Cambiate il cuore! Si è avvicinato, infatti, il regno dei cieli!»).
È importante anche sottolineare la simmetria che viene a crearsi tra la “vocazione” di Gesù, mentre era discepolo di Giovanni, e la “vocazione” dei primi discepoli che Gesù chiama sulle sponde del lago di Genezaret:
a) l’attività di Giovanni Battista: 3,1-17
i. la predicazione del Battista (3,1-12)
ii. Battesimo di Gesù e rivelazione come servo di JHWH (3,13-17)
b) le tentazioni ovvero la decisione del modo di quale Messianismo: 4,1-11
a') arresto di Giovanni e inizio dell’attività di Gesù: 4,12-22
i. Gesù nella «Galilea delle genti» (4,12-17)
ii. la chiamata dei primi discepoli di Gesù (4,18-22)
vv. 1-4: Il momento storico è lasciato da Matteo volutamente indeterminato: Giovanni Battista era una figura ben nota nel I secolo giudaico (cf Giuseppe Flavio). Egli fa par-lare di sé, per la sua predicazione nel deserto della Giudea, nella zona di là del Giorda-no. Con l’aggiunta «della Giudea», Matteo mostra che la rottura con la società (il deser-to) non porta al di fuori della terra promessa (al contrario di Gv 1,28). La sua visione teologica coglie nell’intera umanità la pienezza di Israele.
L’attività di Giovanni è di «proclamare» (κηρύσσειν) come un banditore, questo messaggio: «Cambiate il cuore (μετανοεῖτε), perché il regno di Dio è vicino!». La vici-nanza del regno è la notizia; il cambiamento del cuore è la condizione perché tale re-gno sia possibile ed esso si manifesta cambiando l’atteggiamento verso l’altro e adot-tando una condotta di giustizia.
Il cambiamento richiesto da Giovanni è «pentimento», che non va confuso con la «conversione» (ἐπιστροφή), un vocabolo a valenza teologica che dice il ritorno a Dio. Anche nei LXX il verbo ebraico šûb «convertirsi» non è di norma tradotto con μετα-νοεῖν. In Marco e Matteo, la conversione si esprime con la fede o adesione a Gesù. Dal momento in cui sarà presente nel mondo il «Dio con noi» (Mt 1,23), allora sarà neces-sario «tornare» a lui. Dato che Gesù non è ancora apparso in scena, il precursore invita al cambiamento di vita, come farà Gesù stesso (Mt 4,17) prima di darsi a conoscere. Il cambiamento di vita (μετάνοια) ha la propria radice nella predicazione profetica. Il suo paradigma è espresso bene da Is 1,16-17:
Cessate di agire male,
imparate ad agire bene.
«Il regno di Dio» esprime la signoria di JHWH sulla storia del mondo intero. L’ebraico malkût e la sua traduzione greca βασιλεία dicono anzitutto la dignità regale, ma anche la struttura del «governare», nonché il territorio e un insieme di popoli. Mat-teo preferisce la dizione giudaizzante «regno dei cieli», con la sostituzione del nome di-vino, ma il contenuto è del tutto identico alla formula «regno di Dio». All’epoca di Giovanni e Gesù era oggetto di viva attesa. Molte correnti del Giudaismo ritenevano che si sarebbe realizzato con l’avvento del Messia, re discendente e successore di Da-vide, il quale avrebbe vinto i pagani e restaurato la gloria di Israele come nazione. Gio-vanni Battista, tuttavia, esigendo il cambiamento come condizione per il regno, mostra che esso non è soltanto frutto dell’intervento di Dio, ma richiede la collaborazione dell’uomo. Si pensava anche che il Messia dovesse purificare anche lo stesso Israele, separando al suo interno giusti e peccatori.
Matteo riferisce alla predicazione di Giovanni un testo di Isaia. La preparazione di cui il profeta parla coincide col cambiamento che Giovanni chiedeva. La voce grida «nel deserto»: il luogo dove si colloca il banditore (ἐν) è anche il luogo dove esercita la sua attività. «Gridare nel deserto» nel senso di parlare invano, senza che nessuno diaretta, non avrebbe significato, dato che la voce di Giovanni trova eco immediata «fuori» del deserto, a Gerusalemme e in Giudea (Mt 3,5).
Basandosi sul testo di Mal 3,23: «Io vi manderò il profeta Elia, prima che giunga il Giorno del Signore», le prime scuole rabbiniche avevano già sviluppato l’idea che Elia sarebbe dovuto giungere come precursore del Messia, per purificare Israele e preparar-lo all’arrivo del regno messianico (cf Mt 17, 10). Per il suo vestito, e in particolare per la cinghia di cuoio alla cintura, Giovanni è presentato con gli stessi indumenti di Elia (cf 2Re 1, 8). In questo modo Matteo ne precisa il carattere di precursore (cf Mt 11,14; 17,12s). Sarà lui a precedere il Giorno del Signore, cioè la venuta del Messia. La vici-nanza del regno si associa così con la prossimità del Messia. Ma era anche un indizio molto preciso che Giovanni il Battista non osservava la purità nel modo ossessivo della comunità di Qumrān da cui non era fisicamente molto lontano. Mentre a Qumrān si vestiva solo lino per evitare ogni eventuale contaminazione derivata da pelli di animali morti, il Battista vestiva addirittura pelli di cammelli e cinture di pelle.
Anche il cibo, ricordato non certo per la sua straordinarietà, era un indizio della considerazione con cui metteva in pratica le leggi sulla purità (ṭohŏrût) degli alimenti. Giovanni utilizza l’alimento che ha a portata di mano, anche se impuro (ṭāmēʾ), senza dipendere dalla società da cui si è separato.
vv. 5-12: La risposta alla proclamazione di Giovanni è unanime: la capitale e tutti gli abitanti del paese giudaico accorrono alla sua proclamazione («tutta la Giudea» signifi-ca tutto il paese giudaico: cf Mc 1,5; Lc 1,5; Erode il Grande, «re di Giudea»: At 10,37; 26,20); accorre gente anche dalla regione vicina al fiume. Si stabiliscono così due poli opposti: Gerusalemme, sede delle autorità religioso-politiche e centro del culto ufficia-le, e il deserto, da dove si fa udire la voce di Giovanni. L’affluenza massiccia verso quest’ultimo è un plebiscito in suo favore e contro l’istituzione giudaica; il popolo esprime così il suo profondo scontento nei confronti dell’istituzione e dei suoi dirigen-ti.
Il battesimo, o immersione in acqua, era un rito comune nella cultura giudaica. Si-gnificava la morte a un passato che veniva simbolicamente sepolto nell’acqua. In ambi-to civile si utilizzava per indicare – ad esempio – l’emancipazione di uno schiavo e in quello religioso la conversione di un proselito. Qui significa il cambiamento di vita: il passato d’ingiustizia resta sepolto. Ne consegue che il battesimo va accompagnato da un riconoscimento dei «peccati» cioè delle ingiustizie commesse. Questa è la prepara-zione per il regno di Dio.
I farisei erano un modello di pia religiosità e si gloriavano della loro fedeltà alla Leg-ge interpretata secondo la tradizione rabbinica. Per la loro esemplarità, almeno appa-rente (cf Mt 23,13-36), esercitavano un grande influsso sul popolo; rappresentavano il potere spirituale. I sadducei invece erano la classe dominante. Tra loro vi erano i gran-di proprietari terrieri e le famiglie dell’aristocrazia sacerdotale; rappresentavano il pote-re economico, religioso e politico. Molti dunque si avvicinano a Giovanni per ricevere il suo battesimo, ma senza il proposito di riconoscere l’ingiustizia in cui vivono, né di rettificare la propria condotta. In vista della reazione del popolo, il sistema oppressore vuole in qualche modo integrare la figura di Giovanni e il movimento da lui suscitato.
Giovanni non li accetta, li rimprovera anzi, violentemente. «Razza di vipere» (γεννή-ματα ἐχιδνῶν) caratterizza le due categorie come agenti di morte. Giovanni qualificacosì il potere politico-religioso nella sua relazione con gli uomini. Lo stesso farà Gesù con i farisei e dottori della legge (Mt 12,34; 23,33). «Ira» (ὀργή): nell’ebraico biblico e nel greco biblico si esprime di frequente una realtà attraverso i sentimenti che la pro-vocano o che essa stessa provoca; anche l’esito giudiziario di condanna è espresso con «ira». Giovanni suppone che Dio o il Messia come re che giunge sentenzierà la con-danna; i farisei e i sadducei vogliono evitarlo assoggettandosi al rito esterno ma senza adempiere la condizione richiesta, il cambiamento del sistema di vita.
Matteo distingue quindi fra la massa della gente che accetta il battesimo di Giovan-ni e adempie alla condizione proposta (Mt 3,5s) e i circoli influenti che non hanno il proposito di compierla. Vogliono esprimere una rottura con l’ingiustizia ma senza cor-reggere la loro condotta personale. Costoro credono che sia sufficiente discendere da Abramo per essere salvati. Giovanni demolisce una tale sicurezza. Non la stirpe conta, ma le opere. La discendenza di Abramo può provenire anche da fuori di Israele. Dio può suscitarla persino da quanto è apparentemente incapace di vita («queste pietre»). Allusione, sulla bocca del Battista, al futuro ingresso dei pagani nel regno di Dio (Mt 8,11). Giovanni attende che quando arriverà il Messia vi sarà un giudizio imminente e severo. Il frutto buono deriva dal cambiamento di vita (Mt 3,8). Non bastano dunque riti esteriori per accogliere il regno di Dio, si richiede un cambiamento di vita. Chi non lo compie ne verrà escluso. La condanna è quella dell’albero che non dà frutto, la di-struzione attraverso il fuoco. La separazione che il Messia effettuerà non sarà dunque basata sulla purezza di sangue né sulle pratiche di culto (sadducei), né sulla fedeltà alle prescrizioni della Legge (farisei), ma sull’atteggiamento nei confronti dell’uomo.
Giovanni paragona il suo battesimo a quello di colui che deve giungere. Si dichiara precursore di qualcuno più forte di sé. Il proposito del suo battesimo è quello di susci-tare il cambiamento di vita (μετάνοια). Colui che viene porta un battesimo molto su-periore al suo, fatto di Spirito Santo e fuoco. «Santo» applicato allo Spirito significa in primo luogo la sua appartenenza alla sfera divina; in secondo luogo la sua attività «san-tificatrice» o «consacratrice»; è lui a «separare» l’uomo, trasferendolo nella sfera di Dio. La sua comunicazione interiore di vita divina trasforma l’uomo, lo mantiene in contat-to con Dio e gli conferisce la fedeltà a lui (Ez 36,26s). Il proposito umano di cambiare condotta non acquista autentica solidità finché non è confermato dallo Spirito. Il bat-tesimo del Messia effettuerà un giudizio: per chi si è preparato correggendosi sarà puri-ficazione e infusione di Spirito (forza di vita e fecondità), effetto del favore di Dio; perchi non ha cambiato condotta sarà distruzione espressa in precedenza, manifestazione dell’ira divina (Mt 3,10). Di se stesso Giovanni afferma che «non merita neppure di to-gliere i sandali a colui che viene». Il simbolo di togliere i sandali è ispirata da una antica usanza matrimoniale: quando un uomo moriva senza figli il parente più prossimo do-veva sposare la vedova per dare discendenza al defunto (Dt 25,5). Nel caso in cui non lo facesse un altro poteva prendere il suo posto; il gesto simbolico che significava tale appropriazione del diritto del primo si compiva togliendogli uno o entrambi i sandali. Giovanni riconosce che chi viene è più forte di lui e ha diritto di priorità. Si annuncia il tema dello Sposo, che presuppone quello dell’alleanza. Chi viene fonda un’alleanza nuova (cf Mt 26,28), in cui prende il posto di Dio (lo Sposo) in quanto «Dio con noi» (Mt 1,23).
Giovanni ripete l’idea del giudizio con un altro simbolo: quello del seminatore che raccoglie le messi. Il suo grano che verrà riunito saranno quanti hanno prodotto il frut-to del cambiamento di vita; il verbo «riunire» ricorda la riunione escatologica delle tri-bù di Israele. La paglia sarà bruciata con fuoco inestinguibile, che ne assicura l’assolu-ta distruzione.
La figura del Messia, come appare nelle parole del Battista, corrisponde a una certa aspettativa di Israele, condivisa da Giovanni, che l’applica nella sua critica contro i fa-risei e la classe dei dirigenti (sadducei). Il movimento iniziato dal Battista è dunque di radice popolare e attende che il Messia faccia giustizia senza ritardi. Considera i diri-genti come nemici del regno di Dio e assolutamente bisognosi di un cambiamento ra-dicale. Nella prospettiva del regno, essi devono rinunciare al loro modo di procedere; la loro attuale condotta è incompatibile con esso. Si tratta di una condotta particolar-mente perversa («razza di vipere»).
Tuttavia, l’azione del Messia come giudice, annunciata da Giovanni il Battista, non corrisponde alla successiva attività di Gesù e ciò provocherà una crisi nel Battista (cf Mt 11,2-6).2
2 Il commento a Mt 3,1-12 dipende in parte da J. MATEOS - F. CAMACHO, Il vangelo di Matteo. Lettura commentata, Traduzione di T. TOSATTI (Bibbia per Tutti), Cittadella Editrice, Assisi 1986, pp. 40-46.
3 D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A. AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 390.
PER LA NOSTRA VITA:
1. Un profeta è un uomo che, a un preciso e sconvolgente momento della sua vita, sa di essere afferrato da Dio e chiamato da lui, e che non può fare altrimenti che anda-re dagli uomini e annunciare la volontà di Dio. La chiamata è divenuta il punto di svolta della sua vita, e per lui vale oramai soltanto l’andare dietro a questa chiamata, anche se portasse alla disgrazia e alla morte. […]
Il punto centrale, a partire dal quale è acquisita la comprensione dell’anima profeti-ca, è il fatto che il profeta sa di essere alleato con Dio e che questa alleanza renderà la sua vita una tragedia, una tragedia d’incomparabile serietà, proprio perché si tratta di un’alleanza con Dio. Dal fatto che il profeta sia alleato con Dio dipende che le sue pa-role siano così strane, che egli sia così inflessibile, così temibile, che sia incomprensibi-le dal punto di vista umano e psicologico. […]
Dio lacera, manda in frantumi, annienta l’armonia spirituale dell’uomo che è il suo annunciatore. Dio stesso è autore della tragedia della vita del profeta, affinché in que-sta sconfitta dell’uomo venga alla luce la forza e il peso della richiesta divina.3
2. Profeta, precursore, Giovanni compie infine la sua missione: preparare le vie al-la gloria di Colui che viene nel deserto. L’avvertimento escatologico è prossimo. Il Verbo di Dio sta per giungere di fronte all’uomo sua creatura. È il Verbo onnipotente: «Ecco che i popoli sono come goccia che cade nel secchio» (Is 40,15). Verrà come un pastore per pascolare il suo gregge, radunare le pecore, tenendo in braccio gli agnelli (cf Is 40,11). Egli viene a visitare i suoi. E questa ora decisiva della storia è ormai im-minente. Giovanni è inviato per predisporre i cuori ad accogliere il Signore.
Il suo messaggio sarà messaggio di conversione: «Egli camminerà davanti al Signo-re… per ricondurre i cuori dei padri verso i figli ed i ribelli ai sentimenti dei giusti» (Lc 1,17). Poiché gli uomini si sono allontanati da Dio. L’antico peccato di Adamo conti-nua a riprodursi in essi. Il peccato di Adamo era la presunzione dell’uomo di essere au-tosufficiente: “Noi non abbiamo bisogno di Dio”. Era la presunzione dell’umanità di essere artefice del proprio destino e garante della propria salvezza. Ma, in tal modo, l’uomo si autodistrugge poiché egli non esiste e non agisce che in relazione alla sorgen-te divina dalla quale prende vita e alla quale si riferisce. È in questo mondo peccatore che Dio viene.
Questo mondo, Giovanni, non può salvarlo. Persino lui, il maggiore dei profeti, co-nosce la vanità di qualsiasi predicazione. Egli non sarà l’apportatore di una vita di sag-gezza, ma l’annunciatore di un avvenimento. A questo mondo peccatore sta per essere offerta una salvezza. La liberazione è prossima. Il Verbo di Dio redimerà Adamo e lo riporterà al Padre. In lui verrà restaurata la comunicazione tra Dio e l’uomo. Il Regno di Dio è prossimo. Dio regnerà sovranamente, anzitutto nell’umanità di Gesù Cristo, tutta quanta riferita a lui; in ogni uomo, poi, che potrà partecipare a questa salvezza realizzata in Gesù Cristo.4
3. Tutto è sorprendente nel destino del Precursore. Il Signore davanti alla folla ne dà una testimonianza piena di mistero: egli è più che un profeta (Mt 11,9). Un profeta ri-vela i segreti di Dio, trasmette agli uomini la sua parola; Giovanni è un testimone che attesta l’evento prendendovi parte; egli è più che un profeta poiché la sua testimonianza è una delle condizioni umane della missione di Cristo: Conviene che così adempiamo ogni giustizia (Mt 3,15).5
4. In Giovanni la possibilità della salvezza è collegata alla disponibilità a sottoporsi al battesimo di conversione e a portare “frutti” (Lc 3,9) di conversione. Pure Gesù co-nosce il messaggio della conversione (Mc 1,15), che però è strettamente collegato con la testimonianza in favore del regno, che viene agli uomini con una forza integrante e riconciliante. Il messaggio di questo regno trasformante, rinnovante e vivificante è per-ciò euanghélion, vangelo, buona novella. Rispetto all’oscuro sfondo apocalittico dell’im-minente fine collettiva di questa generazione perversa […]: prevale, nella predicazione di Gesù non l’aspetto dell’annuncio della perdizione, bensì piuttosto l’aspetto ottimistico dell’annuncio della salvezza.6
5. Dio ha un amore fedele, incondizionato; neppure il peccato può condizionarlo. Egli infatti perdona, è tenerezza e misericordia; appena vede nell’uomo un minimo di resipiscenza, subito entra con tenerezza infinita e distrugge il peccato. Ma nonostante il perdono, il cuore dell’uomo rimane invincibilmente peccatore; occorre allora che Dio, mentre perdona e distrugge il peccato, trovi un altro modo per garantirsi una ri-sposta all’alleanza. Ecco l’intuizione dei profeti: Dio perdona il peccato del suo popolo ed egli stesso, mediante il Messia e lo Spirito, verrà ad abitare nel cuore del popolo. Egli stesso dirà sì alla propria alleanza. L’alleanza antica, in cui Dio vuole consangui-neità con il suo popolo, si realizza perché in questa nuova alleanza, egli non è solo co-lui che fa l’alleanza, ma anche colui che risponde di sì all’alleanza. […]
L’accesso a Dio da parte dell’uomo non è facile: non è una passeggiata gioiosa, che l’uomo compie incontro a Dio, ma ha a che fare con l’umile riconoscimento di una si-tuazione di imperfezione, di infedeltà che radicalmente abita nel cuore dell’uomo. E’ l’esperienza dell’uomo peccatore, che sa di avere labbra impure e cuore impuro. L’idea di comunione con Dio dunque comporta un rossore, un mettersi la mano sulle labbra per dire: “Come posso io comparire davanti a Dio?” Ma dà anche un tocco nuovo, stupendo, commovente al rapporto del popolo con Dio. Il popolo sta davanti a Dio non soltanto come uno che ama, ma come uno che ama con tremore, sapendo tutta la fragilità e la povertà del proprio amore, conoscendo come esso venga fuori, goccia a goccia, da un’esperienza di durezza, di fatica, di superficialità, di ottusità, connaturata col cuore dell’uomo. Accanto a questa esperienza, però, il popolo fa anche quella della tenerezza dell’amore di Dio: egli sa che non solo Dio lo ama, ma lo ama perdonando; e un amore che perdona è l’amore più sublime.

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