venerdì 25 novembre 2011

Domenica 27 novembre 2011


III DOMENICA DI AVVENTO - Le profezie adempiute

Lettura del profeta Isaia 51, 1-6

Così dice il Signore Dio: / «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, / voi che cercate il Signore; / guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, / alla cava da cui siete stati estratti. / Guardate ad Abramo, vostro padre, / a Sara che vi ha partorito; / poiché io chiamai lui solo, / lo benedissi e lo moltiplicai.

Davvero il Signore ha pietà di Sion, / ha pietà di tutte le sue rovine, / rende il suo deserto come l’Eden, / la sua steppa come il giardino del Signore.

Giubilo e gioia saranno in essa, / ringraziamenti e melodie di canto! / Ascoltatemi attenti, o mio popolo; / o mia nazione, porgetemi l’orecchio. / Poiché da me uscirà la legge, / porrò il mio diritto come luce dei popoli. / La mia giustizia è vicina, / si manifesterà la mia salvezza; / le mie braccia governeranno i popoli. / In me spereranno le isole, / avranno fiducia nel mio braccio.

Alzate al cielo i vostri occhi / e guardate la terra di sotto, / poiché i cieli si dissolveranno come fumo, / la terra si logorerà come un vestito / e i suoi abitanti moriranno come larve. / Ma la mia salvezza durerà per sempre, / la mia giustizia non verrà distrutta».

Salmo

Sal 45 (46)

® Nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.

Dio è per noi rifugio e fortezza,

aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.

Perciò non temiamo se trema la terra,

se vacillano i monti nel fondo del mare. ®

Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio,

la più santa delle dimore dell’Altissimo.

Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare.

Dio la soccorre allo spuntare dell’alba.

Fremettero le genti, vacillarono i regni;

egli tuonò: si sgretolò la terra. ®

Il Signore degli eserciti è con noi,

nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.

Venite, vedete le opere del Signore,

egli ha fatto cose tremende sulla terra. ®

Epistola

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 2, 14-16a

Fratelli, siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.

Vangelo

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 5, 33-39

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.

Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».

Commento

VANGELO: Gv 5,33-39

Gv 5 narra della seconda salita di Gesù a Gerusalemme secondo il Quarto Vangelo. In questa occasione, tuttavia, Gesù non si reca al Tempio, ma presso un “santuario” paganeggiante, dove il popolo andava per cercare guarigione: la piscina di Bethzatha (in aramaico potrebbe significare «il palazzo della fossa» oppure Beth ʾešdātajim «il palazzo delle due piscine»). Là Gesù guarisce un paralitico, donandogli quella libertà resa impossibile dalla malattia che lo immobilizzava (Gv 5,1-9a).

Il segno operato da Gesù, essendo stato compiuto in giorno di sabato, provoca una reazione ostile da parte di coloro che detengono il potere religioso, un potere fondato su una certa interpretazione della Legge di Dio, manipolata contro la libertà dei figli di Dio (Gv 9b-15).

Questa disputa permette a Gesù di chiarire quale sia la sua vera missione: egli ha il compito di portare a compimento l’opera creatrice del Padre e precisamente è chiama-to a far risorgere i morti, chiamandoli fuori dal regno di morte e di tenebra in cui sono stati ridotti (vv. 16-30). Le sue opere sono la testimonianza della missione, che manife-sta l’unico volto di Dio, il suo amore. Dio non è il Giano bifronte!

L’opera compiuta un giorno da Mosè è «testimonianza» e anticipazione di quanto Gesù sta compiendo ora in pienezza: la liberazione dell’uomo. Il passo quindi, per la precisione, abbraccerebbe i vv. 31-47 e si dividerebbe in due paragrafi, entrambi cen-trati sulle testimonianze che legittimano la missione di Gesù: i vv. 31-38 espongono le testimonianze presenti; i vv. 39-47 quelle del passato, a partire dalla Scrittura, testimo-nianza perenne. Ciascuno dei due paragrafi termina con un’affermazione che denuncia l’incredulità dei Giudei (ovvero dei capi di Gerusalemme, nel linguaggio del Quarto Vangelo).

vv. 33-38: La testimonianza di Giovanni il Battista era valida, ma Gesù non si basa su di essa; per provare che la sua missione viene da Dio, non può appoggiarsi a una te-stimonianza umana. Sebbene Giovanni fosse un inviato di Dio (Gv 1,6), non è suffi-ciente opporre l’autorità di Giovanni (che ha negato di essere Elia o il Profeta) (Gv 1,21), a quella di Mosè. A loro, tuttavia, conviene ricordare quella testimonianza, la cui validità Gesù conferma, per abbandonare il loro immobilismo e avvicinarsi a Gesù, annunciato da Giovanni (Gv 1,27). Così avrebbero potuto raggiungere la salvezza che, per mezzo suo, Dio offre al mondo (Gv 3,17).

Giovanni non era la luce (Gv 1,6): era soltanto un testimone a favore della luce, che si poteva paragonare a una lampada, il cui splendore prometteva l’esistenza della luce piena. I dirigenti si gloriarono per breve tempo della risonanza del messaggio di Gio-vanni, figura tanto straordinaria che si era giunti a pensare che potesse essere il Messia (Gv 1,19s). Non si trattava, tuttavia, di una vera adesione al suo messaggio, che an-nunciava sempre Gesù (Gv 1,15. 27. 29-34. 36; 3,27-30), ma di un opportunismo. Di fatto, il Battista si dovette ritirare più tardi in un luogo al di fuori della loro giurisdizio-ne e finì in carcere (Gv 3,23).

Mentre Giovanni rendeva testimonianza a parole (Gv 10,41: Giovanni non compì alcun segno, ma tutto ciò che Giovanni disse di costui era vero), Gesù non lo fa con dichiarazioni, ma con opere, con la sua stessa attività liberatrice. Il plurale «opere» mo-stra nuovamente che la guarigione dell’invalido alla piscina di Bethzatha non era stata un caso isolato, ma un esempio o paradigma dell’attività di Gesù fra il popolo emargi-nato. La qualità di tali opere dimostra che Gesù è un inviato del Padre.

La sua argomentazione si basa sul concetto di Dio come Padre, già illustrato nel prologo (Gv 1,14d; 4,53 lett.). Chiamando Dio «Padre», Gesù lo definisce come colui che comunica senza alcun limite la propria ricchezza, che è la sua vita e il suo amore. È il Dio che dimostrò il suo amore per l’umanità dando Gesù, suo Figlio unico (3,16). Ebbene, chiunque riconosca che Dio è Padre, deve riconoscere che sono di Dio anche le opere di Gesù, perché come quelle del Padre comunicano vita all’uomo (Gv 5,17 e 21). Gesù sta implicitamente facendo appello a un passo chiaramente espresso nell’AT, che descrive la sollecitudine di Dio per il suo popolo, specialmente per i de-boli; lo si chiamava «giusto» perché rendeva giustizia all’oppresso, riabilitava il calun-niato, spezzava il giogo oppressore. Questa era anche la sua esigenza, espressa con for-za dai profeti:

Es 1,17: «Cessate di fare il male, e imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Is 58,6-7: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?».

Is 61,1: «Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a Fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri».

Ger 21,11-12: «Ascoltate la parola del Signore! Casa di Davide, così dice il Signore: ammi-nistrate la giustizia ogni mattina e liberate l'oppresso dalla mano dell'oppressore».

Ger 22,15-16: «Forse tu agisci da re perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il Dritto e la giustizia e tutto andava bene. Egli tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene; questo non significa infatti conoscermi? Oracolo del Signore».

Ez 34,2-4: « Guai ai pastori di Israele che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero for-se pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza».

Sal 72,4. 12-14 (riferito al re messianico): «Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salve-rà i figli dei poveri e abbatterà l’oppressore ... egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue ».

Da questi e da molti altri testi che si potrebbero citare, appare chiaramente che Dio è a favore dell’indifeso, del disgraziato. Chi avesse penetrato tale caratteristica di Dio, così prominente nell’AT, avrebbe dovuto concludere che l’opera di Gesù a favore dei deboli era quella di Dio, che Gesù era il suo inviato e che faceva ciò che gli aveva inse-gnato il Padre (Gv 5,19-20). In Gv 5,3 veniva raffigurato il gregge abbandonato e mal-trattato. Dio stesso aveva promesso di cercare le sue pecore disperse come fa un pasto-re (Ez 34,11-12) e di dar loro un pastore che ne avesse cura (Ez 34,23: «susciterò per loro un pastore che le pascerà: Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il lo-ro pastore»). Davanti alle teorie sull’origine del Messia (Gv 7,27), Gesù, per accredita-re la propria missione, propone unicamente la testimonianza delle sue opere, secondo le promesse di liberazione e di salvezza annunciate nei testi profetici (cf Gv 7,31).

Questa testimonianza di Gesù sarà anche quella della sua comunità. Come Gesù, questa dovrà realizzare le opere del Padre che lo inviò (Gv 9,4). Non esiste altra prova della missione divina: chi, per amore dell’uomo, gli comunica vita e libertà, è agente del Padre; chi si oppone alla vita, non esercita l’attività di Dio né sta con Dio. La sua testimonianza è qualcosa di immediato, che chiunque può constatare; è oggettiva, visi-bile, palpabile. Può negarla soltanto la malafede. Per questo, la testimonianza delle sue opere è testimonianza diretta di Dio. L’amore per l’uomo, tradotto in opere, è sempre appoggiato dal Padre.

Mosè faceva appello alla conferma di Dio per legittimare le sue opere: «da questo saprete che il Signore mi ha mandato ad agire così (LXX: a realizzare tutte queste ope-re) e che non opero per conto mio » (LXX: π᾽ἐμαυτο «di mia iniziativa», cf Gv 5,19. 30). «Se questa gente muore di morte naturale ... JHWH non mi ha mandato; ma se JHWH fa una cosa meravigliosa, se la terra spalanca la bocca e l’ingoia con quanto ap-partiene loro ... allora saprete che questi uomini hanno disprezzato JHWH» (Nm 16, 28-30). Le opere di Mosè non rivelavano da se stesse la propria origine divina, necessita-vano di una conferma miracolosa; in questo caso, un effetto di morte. Quelle di Gesù, al contrario, non necessitano legittimazione alcuna: rivelano senza equivoco la presen-za del Padre, manifestando il suo amore per l’uomo. Non sono segni portentosi (cf Gv 4,48), spettacolari, né tanto meno terrificanti; manifestano la meraviglia del potere creatore di Dio, sviluppando e ampliando la capacità dell'uomo.

Dall’esposizione della testimonianza a suo favore, Gesù passa all’invettiva contro i dirigenti, che pretendevano di essere i depositari dell’autentica tradizione e i mediatori fra Dio e il popolo; sono loro che, in nome di Dio, condannano Gesù. Egli denuncia in primo luogo la loro disobbedienza. La frase ascoltare la sua voce ricorda i comandi di Dio nell’antica alleanza, l’esigenza che il popolo lo ascoltasse (Ez 19,5; 23,22), e le promesse del popolo di ascoltare quanto JHWH aveva detto (Es 19,8; 24,3. 7[LXX]), come ratifica dell’alleanza. Gesù li accusa di non avere ascoltato la voce di Dio e di non avere osservato la sua alleanza, come in Gv 7,19 li accusa di non osservare la Leg-ge di Mosè che ufficialmente difendono.

La «figura» di Dio che Gesù menziona è anch’essa in relazione con l’alleanza. In Es 24,17 (LXX) viene descritta la manifestazione sul Sinai come la «figura della gloria» di Dio, visibile per tutto il popolo. Dio invitò a vederla, ma essi, che non hanno ubbidito alla sua voce, non l’hanno vista. Gesù nega che essi abbiano non già la conoscenza piena di Dio, che non ebbe nemmeno Mosè (Es 33,22), ma la conoscenza propria dell’antica alleanza, che avrebbe dovuto prepararli alla piena rivelazione nella sua per-sona. Lì Dio apparve come fuoco vorace; ora Gesù lo rivela come amore leale.

In conseguenza della loro disubbidienza e mancanza di fedeltà all’alleanza hanno perso il messaggio che questa intendeva comunicare e che era stato rinnovato dai profeti. Hanno ignorato la vera caratteristica di Dio, quella del suo amore per l’uomo. Quest’amore si farà realtà tangibile e sperimentatile in Gesù (Gv 1,17); Dio però volle annunciarlo e prepararlo, ma essi lo hanno ignorato. Per questo a Cana mancava il vi-no (Gv 2,3). Dio aveva voluto dare vino d’amore al suo popolo, ma era stato soffocato dall’istituzione giudaica, incarnata nell’assoluto della Legge (Gv 2,6 lett.). Gesù de-nuncia un indurimento inveterato nei circoli dirigenti di Israele e dà la chiave per comprendere il carattere oppressivo delle sue istituzioni. Mai hanno ascoltato il mes-saggio d’amore che Dio proponeva.

Sono messe qui a confronto due concezioni di Dio: il Dio di Gesù, il Padre, che ama l’uomo e si manifesta dandogli vita e libertà, e il Dio dei dirigenti, il Sovrano, che impone e mantiene un ordine giuridico, prescindendo dal bene concreto dell’uomo. Per questo Gesù può affermare decisamente che non conoscono assolutamente il Pa-dre; per di più, non hanno conservato neppure il messaggio trasmesso, espresso fin dal principio con l’azione di Dio, che li rese appunto un popolo traendoli fuori dalla schia-vitù. La descrizione che Dio stesso fece di sé a Mosè prima dell’alleanza: il Dio miseri-cordioso e clemente, paziente, grande in amore e lealtà (Es 34,6), è appunto quella che corrispondeva all'opera di Gesù, fino al punto che la gloria del Padre, presente in Ge-sù, è stata descritta da Gv con queste parole di Dio (1,14 e 17). Essi, tuttavia, hanno dimenticato tale immagine data da Dio stesso, per fabbricarsene una propria.

In effetti, nel codice dell’Alleanza che segue il Decalogo (Es 20,22 – 25,33), all’in-terno della minuziosa casistica che regola materie diverse, s’incontrano prescrizioni re-lative al modo di comportarsi con i derelitti che, per la loro condizione, possono essere oggetto di sfruttamento o abuso (Es 22,20-26). Il loro grido, avverte JHWH, sarà ascol-tato sempre (Es 22,22). Fu proprio il grido degli israeliti, mentre soffrivano l’op-pressione in Egitto, a motivare l’intervento liberatore di JHWH (Es 3,7-9). Egli agisce a favore dell’oppresso perché è pietoso (Es 22,26: io sono pietoso, annûn). È una quali-tà che lo definirà quando più tardi Mosè gli domanderà di vedere la sua gloria (Es 34,6); ed è da questa che sarà mosso a liberare il popolo e a stabilire la sua alleanza con lui. Per questo, Dio tratterà come ha trattato gli egiziani (Es 22,23; cf 4,23; 13,15) i figli di Israele che si trasformano a loro volta in oppressori. È significativa a questo ri-guardo l’espressione: se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo (eb. ʾet ʿammî), all’indigente che sta con te... (Es 22, 24); parlando così, Dio separa momentaneamen-te il creditore dal suo popolo, costituito dai poveri.

Questo spiega perché i profeti, davanti alle ingiustizie che si commettono, denun-ciano il non compimento dell’alleanza ed equiparano Israele ai popoli pagani (Is 1,10: Sodoma e Gomorra), squalificandolo come popolo di Dio malgrado il culto splendido praticato nel tempio (Is 1,10-28).

Ciò che essi insegnano e sostengono è, pertanto, un tradimento della rivelazione di Dio, tanto più grave in quanto pretende di essere l’unica dottrina autentica. La prova di questa affermazione di Gesù è che non riconoscono nella sua l’azione di Dio e, di conseguenza, non prestano fede al suo inviato. Chi si chiude al bene dell’uomo non può riconoscere Dio (cf Gv 7,17; 8,19. 54s; 15,21; 16,3).

v. 39: Dopo aver esposto la testimonianza delle sue opere, che stanno sotto i loro oc-chi, ricorda loro la testimonianza che viene dal passato, ma che continua a indicare la sua persona. Ai capi nemmeno le Scritture danno testimonianza, perché il loro modo di leggerle è sbagliato. Pensano di potervi trovare ciò che non contengono: vita definitiva, la piena realizzazione dell’uomo. Hanno assolutizzato la Scrittura come una citta-della chiusa, in luogo di vedervi una promessa e una speranza. La permanenza di Gesù in Giudea aveva dato occasione a una polemica contro l’assolutizzazione degli antichi intermediari dell’alleanza (Gv 3,22-36).

Il vero ruolo della Scrittura era il medesimo di Giovanni Battista: rendere testimo-nianza preparatoria all’arrivo del Messia (Gv 1,6). Prometteva l’azione definitiva di Dio e ne annunciava le linee maestre. Essi non danno retta a tale testimonianza. In realtà non possono farlo, perché la loro chiave di lettura è falsa, dato che non colgono il tratto fondamentale di Dio: il suo interesse e il suo amore per l’uomo (cf Es 22,20-26). Per questo non vedono la necessità del mutamento e sono ostili a Gesù, che era l’oggetto della speranza. Non vanno da lui per ottenere vita: di fatto, non conoscendo Dio come Padre, cioè come datore di vita, non sanno nemmeno ciò che questa signifi-ca.

PER LA NOSTRA VITA

1. Anziché mantenerci nella corrente dell’amore del Padre, assumendo Gesù come guida, abbiamo costruito un intreccio di logiche sostitutive che usurpano la verità della logica dell’amore. Le logiche sostitutive rappresentano un vero e proprio sistema di po-tenze che, in realtà provengono da noi, dal nostro cuore oscurato, dalla nostra compli-cità con il male. Sono logiche che si frappongono tra noi e l’amore di Dio proprio mentre hanno l’apparenza di configurare il giusto e dovuto rapporto del credente verso la divinità. Se da un lato il male è sempre distruzione – di vite, di relazioni, di verità, di futuro, di senso –, dall’altro è anche sostituzione: sostituzione della menzogna alla veri-tà, di se stesso al bene, di altre logiche alla logica dell’amore. Che questa dinamica di sostituzione possa aver avuto luogo anche nel contesto della tradizione cristiana sino a oggi mostra, intanto, quanto l’uomo abbia il potere negativo di pervertire ogni cosa, anche la più luminosa. Ma mostra inoltre e in particolare come rifiutare l’amore sia, in effetti, una mutilazione spirituale che procura fatalmente una grande sofferenza. […]

Andiamo al nucleo essenziale di questo equivoco tragico. L’Amore paterno invita l’umanità, giungendo a incarnare l’invito stesso nel Figlio. Questo invito è come un seme da accogliere in sé, è come una parola da ospitare nel proprio cuore lasciando che cresca e ci trasformi. Non è una verità che si impone. […]

La fede passa per la “resa” alla Parola che attrae tutti a sé. Allora la fede stessa di-venta vita nuova.

2. Se volessimo definire la natura e il contenuto della fiducia assoluta, direi che è l’esperienza di una riconciliazione: si va verso la propria casa. Certo, facciamo uso di metafore, adopero immagini, ma come parlare diversamente? Il segreto nascosto in noi è quello della nostra vera dimora che non ci appartiene. Essa costituisce la residenza dell’Invisibile in noi.

L’infelicità degli uomini consiste nel fatto che, spesso, si ingannano! Non vogliono che stare lontano da un tesoro segreto che non li rapporta con l’immediato. Al contra-rio, noi tradiamo senza vergogna l’ascolto che ci conduce verso questo luogo e la chiamata dell’origine sempre futura.

3. L’amore trascende sempre, è l’agente di ogni trascendenza nell’uomo. E per questo apre il futuro; non l’avvenire, che è il domani che si presume certo, ripetizione con variazioni dell’oggi e replica del passato: il futuro, l’eternità, quell’apertura senza limiti a un altro spazio e a un altro tempo, a un’altra vita che ci appare davvero come la vita. Il futuro che attrae anche la storia.

Ma l’amore ci proietta verso il futuro obbligandoci a trascendere tutto quello che promette. La sua promessa indecifrabile squalifica ogni raggiungimento, ogni realizza-zione. L’amore è l’agente più poderoso della distruzione, perché scoprendo l’inadegua-tezza e a volte l’inutilità del suo oggetto, lascia aperto un vuoto, un nulla che atterrisce nel momento in cui viene percepito. È l’abisso in cui sprofonda non solo l’amato, ma la vita, la realtà stessa di colui che ama. È l’amore che scopre la realtà e l’inutilità delle cose, che scopre il non-essere e anche il nulla. […]

È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente. Il futuro che ispira, che consola del presente facen-do perdere la fiducia in esso; che raccoglierà tutti i sogni e le speranze, da cui scaturi-sce la creazione, il non previsto. È libertà senza alcuna arbitrarietà. Ciò che attrae il di-venire della storia, che corre alla sua ricerca. Quello che non conosciamo e ci invita a conoscere. Quel fuoco senza fine che soffia nel segreto di ogni vita. Ciò che unifica con il volo che trascende vita e morte, semplici momenti di un amore che rinasce sempre da se stesso. Quanto dell’abisso del divino è più nascosto; l’inaccessibile che discende in ogni istante.

4. La volontà di Dio può essere molto profondamente nascosta sotto le tante pos-sibilità che ci si presentano. Né essendo essa un sistema di regole stabilito in partenza, ma essendo ogni volta nuova e diversa nelle varie situazioni della vita, bisogna conti-nuamente discernere quale essa sia. In tale discernimento devono collaborare tra loro il cuore, la mente, l’osservazione e l’esperienza. Appunto […] perché tale grazia vuole essere ogni mattina nuova tale discernimento della volontà di Dio è una cosa tanto se-ria.

Né la voce del cuore, né alcuna ispirazione, né alcun principio universalmente vali-do può infatti essere scambiato con la volontà di Dio, che si rivela solo di volta in volta in maniera nuova a colui che di volta in volta cerca di discernerla. Poiché, infatti, la conoscenza di Gesù Cristo, la metamorfosi, il rinnovamento, l’amore, e quale che sia-no i nomi che vogliamo usare, sono infatti qualcosa di vivo e non qualcosa di dato, di fisso e di acquisito una volta per tutte, per questo con ogni nuovo giorno si pone la domanda di come io rimanga e sia conservato oggi e qui in questa situazione, in questa nuova vita con Dio e con Gesù Cristo. Ma appunto tale domanda è il senso del discer-nimento della volontà di Dio.

5. Gesù ci esorta a partecipare all’opera di Dio, come ha fatto lui. Di solito non consideriamo le cose da questo punto di vista. Comunemente, riteniamo che le cose da farsi siano la nostra opera. Dio entra nel quadro come qualcuno che può aiutarci a com-piere il nostro lavoro. Dobbiamo pregare, si dice, per ricevere la grazia di Dio. In realtà ciò che si deve compiere è l’opera di Dio e si può dire che siamo noi a dare una mano partecipando a questa grande Opera. La grazia o libero dono di Dio è meglio intesa proprio come concessione del privilegio di partecipare.

Ma prima di tutto abbiamo bisogno di diventare abbastanza liberi e umili da agire in questa direzione.

[…] Possiamo rinunciare a fare le nostre cose e cominciare a partecipare all’unica impresa efficace e reale: l’opera di Dio. Questo può includere molte delle cose che stiamo già facendo , ma rinnovando il modo in cui le facciamo, introducendo una nuova motivazione. […] Anche la propria trasformazione, in ultima analisi, è opera di Dio.

L’opera di Dio, come la sua sapienza, è rivoluzionaria. Capovolge il mondo. Noi vi partecipiamo aggiungendo le nostre voci alle molte voci profetiche che si alzano corag-giosamente oggi. Ci sono moltissime persone, in tutto il mondo, che compiono l’opera di Dio. […]

La via di Gesù è un cammino che ci porta verso la libertà, la libertà radicale, che ci permette di partecipare alla grande opera d’arte di Dio, liberamente, spontaneamente, creativamente, tutti insieme.

6. Il comandamento dell’amore rivela i discepoli. Eppure, ogni sua buona appros-simazione, da parte di chiunque altro, non deve eccitare la loro gelosia, bensì la loro gratitudine. Gesù è venuto per rendere testimonianza alla verità di Dio. Quando Pilato pone la sua domanda («Che cos’è la verità?»), Gesù tace. Esiste una disciplina dell’arcano – estranea, come in Gesù, a ogni esoterismo – che comunica grandezze in-commensurabili svincolandosi, a proprio rischio, dalle trappole dello svilimento inte-ressato. E restituisce intatta, sgomberando il terreno da ogni alibi pretestuoso, la re-sponsabilità dell’accoglienza della verità, purificata – attraverso l’esposizione del testi-mone che non parla per sé e non tace per sé – da ogni pretestuosa apparenza di preva-ricazione.9

7. Non devi attendere che Dio venga a te

E dica: Eccomi.

Un Dio che professi la sua forza non ha senso.

Devi sapere che Dio soffia in te come il vento

Sin dagli inizi,

e se il cuore ti brucia e non si vela,

c’è lui dentro, operante.

Nessun commento:

Posta un commento