venerdì 4 novembre 2011

Domenica 6 Novembre 2011 NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO


I santi, non tutti hanno cominciato bene, ma tutti hanno finito bene.

Se le diverse esperienze che facciamo ci fanno scegliere di essere persone che amano e fanno dono di sé, va bene.

Se le esperienze ci lasciano immaturi e cattivi, sono esperienze tragiche.

Lettura del secondo libro di Samuele 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17

In quei giorni. Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione”. Ora dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”». Natan parlò a Davide secondo tutte queste parole e secondo tutta questa visione.

SALMO

Sal 44 (45®

Dio ti ha consacrato con olio d’esultanza.

Liete parole mi sgorgano dal cuore: io proclamo al re il mio poema, la mia lingua è come stilo di scriba veloce. ®

Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per sempre. ®

Ami la giustizia e la malvagità detesti: Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni. ®

Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli; li farai prìncipi di tutta la terra. Il tuo nome voglio far ricordare per tutte le generazioni; così i popoli ti loderanno in eterno, per sempre. ®

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 1, 9b-14

Fratelli, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio. Resi forti di ogni fortezza secondo la potenza della sua gloria, per essere perseveranti e magnanimi in tutto, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre / e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, / per mezzo del quale abbiamo la redenzione, / il perdono dei peccati.

VANGELO Giovanni 18, 33c-37

In quel tempo. Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Commento

Quando Pio XI istituì nel 1925 la festa di Cristo Re, voleva reagire contemporanea-mente agli eccessi del laicismo moderno, che vorrebbe fare a meno di Dio, e a quelli del cesaropapismo e del clericalismo, sempre tentati di «servirsi» di Dio a loro vantaggio. La regalità umana, così com’era intesa nelle culture antiche, solo in parte riesce ad esprimere il mistero di Gesù māšîa «unto» e quindi «re» e «sacerdote» (cf la magna charta della monarchia davidica di 2 Sam 7, Lettura).

L’ambiguità della regalità con il potere umano ha sempre portato Gesù a rifiutare, almeno sino alla morte in croce, il titolo di Messia, perché troppo intriso di attese poli-tiche, costruite sul nazionalismo e sulla lotta contro il potere romano.

La regalità alla quale Gesù tende è invece del tutto aliena da ogni forma di potenza. Gesù Cristo è re dell’universo in quanto «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha fatto partecipare al suo regno di luce» (cf Epistola) ed è re dell’universo per elevare e portare alla pienezza della verità tutti gli uomini, per i quali egli è veramente «testimone della Verità» (cf Vangelo).

Gesù è Re per portare a piena umanizzazione la comunità degli uomini, infondendo in essa la speranza di un futuro di risurrezione e permettendo a ciascuno di costruire un mondo più umano nella collaborazione, nella fraternità e nella pace. Non ci si di-mentichi però che questo “singolare” re, per diventare il re dell’universo, ha speso la quasi totalità della sua vita nella quotidianità sorprendentemente insignificante di Nazaret.

Il testo del vangelo

Il racconto della Passione secondo Giovanni (Gv 18,1 – 19,42) è composto da tre sequenze principali: a) l’arresto (Gv 18,1-27); b) il processo romano con Pilato (Gv 18,28 – 19,22); c) la morte in croce (Gv 19,23-42).

Mi soffermo sulla seconda sequenza, perché ad essa appartiene la pericope liturgica. La sequenza centrale è articolata in due pannelli paralleli, composti ciascuno da quat-tro scene. L’alternanza degli incontri tra Gesù e Pilato, sempre ambientati all’interno del Palazzo, e gli incontri tra Gesù e i soldati oppure i Giudei, sempre ambientati all’esterno, conducono progressivamente a comprendere in che senso Gesù sia re, co-me recita – alla fine – l’iscrizione che viene fissata sopra la croce di Gesù come causa della sua condanna: «Gesù Nazareno, re dei Giudei».

La prima sequenza (Gv 18,33 – 19,8) comincia con l’interrogatorio di Pilato a Gesù: «Tu sei re?» e chiarisce l’origine e lo scopo della regalità di Gesù (18,33-38a). La scena seguente descrive la scelta dei Giudei di mettere a morte l’innocente Gesù per salvare il terrorista Barabba (18,38b-40). La regalità di Gesù non viene compresa e nel tentati-vo di togliersi dall’imbarazzo di una condanna senza giusta causa, Pilato fa flagellare Gesù e i soldati con le loro burla lo incoronano di spine (19,1-3). La prima sequenza si conclude con la presentazione dell’«Uomo» alla folla dei Giudei (19,4-8).

La seconda sequenza (Gv 19,9-42) riprende con l’interrogatorio di Pilato a Gesù: il discorso questa volta verte sul potere e sull’origine del vero potere (19,9-12). Ormai però non ci sono più margini di azione per Pilato: Gesù è condannato e Pilato che sie-de per giudicare è in verità giudicato dal condannato Gesù (19,13-15), consegnato ai soldati perché sia crocifisso (19,16-18). Molti dei Giudei però contestano l’iscrizione di Pilato, il quale conferma: «Rimane scritto quanto ho fatto scrivere!» (19,19-22). La sua iscrizione è la verità di quanto sta accadendo: il Messia regna dalla croce!

vv. 33-34: Pilato rientra nel Palazzo. Le scene di rivelazione avvengono sempre «den-tro» il Palazzo. Dal punto di vista storico, la localizzazione più verosimile è il Palazzo di Erode, che Pilato – stando a Giuseppe Flavio – preferiva alla più spartana Torre Anto-nia, ove stazionava la guarnigione militare a sorveglianza dell’area del Tempio.

Sono le autorità giudaiche del Tempio ad aver portato da lui Gesù, ma egli vuole capire di persona chi sia questo Gesù e lo fa chiamare. Il fatto che lo chiami «re dei Giudei» è molto spregiativo. Il titolo onorifico da parte giudaica sarebbe stato «re di Israele» cf Gv (1,49; 12,13). In questo caso, sulla bocca di Pilato, anche la dizione «giu-dei» che solitamente per Giovanni indica coloro che abitano a Gerusalemme e in Giudea, diventa spregiativa, sottolineando la differenza razziale e religiosa, la nazione co-me tale e non solo la casta dirigente. Per Pilato, poco poteva valere la determinazione religiosa di «Messia»; ai suoi occhi poteva essere solo un problema politico.

Pilato vuol sapere che cosa Gesù dice di se stesso.

La risposta di Gesù è altrettanto precisa: vuole sapere se il suo giudice romano lo sta giudicando con il diritto romano o semplicemente sta sintetizzando il giudizio somma-rio del Sinedrio.

vv. 35-36: Pilato non vuole riconoscersi un semplice strumento manovrato dalle auto-rità religiose di Gerusalemme, ma nel suo discorso tradisce subito tale dipendenza. Gesù è stato consegnato all’autorità romana dalla «nazione e dai sommi sacerdoti», una dizione un po’ strana per discolpare la classe sacerdotale.

Pilato rientra nei suoi ranghi di giudice romano: «Che hai fatto?», domanda tecnica anche nel processo giudaico. Pilato sa già il motivo per cui glielo avevano consegnato: Gesù pretende di essere il «Messia». Eppure tutta l’attività di Gesù aveva dimostrato che egli non voleva essere un agitatore di folle, ma un profeta di Dio...

Nelle parole di Pilato c’è anche il tentativo di riportare il problema di Gesù unica-mente nell’alveo di problematiche interne al Giudaismo, in modo da non dover attri-buire a Gesù una qualche colpa riconosciuta nell’ordinamento dell’occupazione roma-na della Giudea, come una rivolta contro Cesare o il tentativo di attribuirsi un titolo improprio di «re».

La risposta di Gesù non si riferisce alla domanda finale di Pilato («che cosa hai fat-to?»), ma a quella iniziale («Tu sei re dei Giudei?») e scarta subito il concetto di regalità di questo mondo. Gesù afferma di essere re, ma anche da subito precisa che si tratta di una regalità che non ha nulla a che vedere con la regalità temuta da Pilato. L’ordina-mento di questo «mondo» è un sistema d’ingiustizia, che opprime l’uomo, e di peccato (Gv 8,23). Gesù vuole servire la libertà di tutti gli uomini e di tutto l’uomo. Egli vuole essere quel «Figlio dell’Uomo» che dona la propria vita per la salvezza di tutti (Gv 12,13. 15. 32. 34; cf 3,3. 5. 14).

Per Gesù i re di questo «mondo» sono coloro che si appoggiano alla forza delle armi e impongono così il loro dominio: se la regalità di Gesù fosse stata di questo genere, avrebbe dispiegato tutti i suoi eserciti e avrebbe lottato per impedire quanto sta avve-nendo. Proprio in questo la sua regalità si distingue dalle altre. L’opposizione fra la sua posizione e quella di «questo mondo» è chiara; egli si è consegnato volontariamente e ha subito troncato la violenza di Pietro (Gv 18, 11). Rinunciando all’uso della forza ha voluto dire sin dall’inizio di non essere un re come gli altri. Non si è costituito rivale dei suoi avversari, contestando loro il potere, ma si è consegnato nelle loro mani. La sua regalità non ha la propria origine in nessuna legittimità di questo mondo: non è di qui, ha un fondamento completamente diverso (cf in parallelo Gv 8,23).

v. 37: La domanda di Pilato è conclusiva: se stanno le cose dette da Gesù, significa che Gesù in qualche modo si riconosce nel titolo di «re» e «Dunque, tu sei re?».

In effetti, Gesù risponde riconoscendo di essere «re», ma non il «re dei Giudei» e nemmeno un «re» tra gli altri re di questo mondo. La traduzione che ho offerto mi sembra la migliore per tradurre il greco di Giovanni, un po’ sibillino. σ λέγεις τι βασιλεύς εμι, γ ες τοτο γεγέννημαι κα ες τοτο λήλυθα ες τν κόσμον, να μαρτυρήσω τ ληθεί «sei tu a dire che io sono re, ma io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità». Vi è dunque il riconoscimento di essere «re», «Messia». Eppure la sua mansione di re non riguarda il potere mondano e politico, ma il regno di Dio (cf Gv 10,16; 11,52); in quanto Figlio dell’Uomo, egli vuole che tutti nascano «dall’alto», da acqua e da Spirito (Gv 3,3. 5), e giungano a scoprire la pienezza della Verità, che è la rivelazione dell’amore del Padre, ovvero la vita stessa di Gesù in quanto Figlio.

La regalità di Gesù è tale che potrà e dovrà essere comunicata ai suoi discepoli (cf Gv 17,17s). Comunicando ai suoi discepoli la sua unzione messianica e la sua missione, li fa partecipi della sua condizione regale, perché tutti gli uomini e le donne di questo mondo possano essere liberi, con la dignità di figli di Dio e signori della creazioni, par-tecipando del dono dell’amore del Figlio Gesù.

La verità cui Gesù rende testimonianza, la verità che è lui stesso (Gv 14,6), si identi-fica con la luce e lo splendore della vita (Gv 1,4). Nel Quarto Vangelo la testimonianza di Gesù è ciò che abbiamo visto (3,11), ciò che ha visto personalmente e ha udito (3,32), la sua denuncia del mondo per il suo modo di agire perverso (7,7) e la sua stes-sa persona in relazione con la sua missione (8,14).

Nel suo aspetto positivo, la verità cui Gesù rende testimonianza è pertanto la sua stessa esperienza (Gv 3,11.32; 8,14b), quella dello Spirito che è vita e amore. Posse-dendo la pienezza dello Spirito, egli stesso è la vita, e di conseguenza la verità (14, 6). È la verità dell’amore di Dio per il mondo (3,16), manifestato nella sua persona e atti-vità; la sua missione rivela la vita che egli ha e comunica. Così Gesù è la verità su Dio perché ne manifesta l’amore, e la verità sull’uomo, in quanto è la realizzazione del pro-getto di Dio su di lui. Di questa verità egli rende testimonianza.

Tuttavia, il verbo usato (μαρτυρήσω, congiuntivo aoristo) sembra voler concentrare in un atto la sua testimonianza: sarà la sua morte in croce a riassumere e far culminare tutta la testimonianza della sua vita. Essa sarà la sua opera più grande, che darà la massima testimonianza (5,36); sarà la suprema manifestazione della gloria (17,1) e concluderà la realizzazione del progetto creatore (19,30).

La parola di Gesù mostra che la sua missione si realizza nella storia, pur essendo tutt’altro rispetto allo stile del mondo; e anche i discepoli dovranno essere «nel mondo», senza lasciarsi fagocitare «dal mondo».

Quindi le due caratteristiche della regalità di Gesù, la rinuncia all’uso della forza e la missione di rendere testimonianza alla verità, mostrano come egli eserciti la sua azione liberatrice. Per trarre fuori il popolo dall’oppressione in cui si trova, Gesù non combatte l’ordinamento ingiusto opponendo violenza a violenza (v. 36); Gesù libera anzitutto il popolo mostrandogli la falsità di ciò che crede: non è volontà di Dio che l’uomo sia schiavo. Tuttavia, alla falsa ideologia egli non ne contrappone un’altra, ma l’esperienza dell’amore che comunica vita (Gv 8,32: la verità che rende liberi).

Gesù non ottiene l’adesione dell’uomo con il mito dell’eroe o con l’uso della forza, ma offrendo la verità della vita. Quanti sono a favore di essa rispondono alla sua chia-mata: πς ν κ τς ληθείας κούει μου τς φωνς «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». «Appartenere alla verità» è l’opposto di «appartenere a questo mondo» (18,36). Appartenere alla verità precede il fatto di ascoltare la voce di Gesù e ne è con-dizione. Fino all’ultimo Giovanni rimarca il suo grande principio: per ascoltare e dare adesione a Gesù si richiede una disposizione previa di amore per la vita e per l’uomo, o in altre parole che la vita sia la luce dell’uomo (1,4). Tale condizione indispensabile è stata formulata lungo il Quarto Vangelo in diversi modi: praticare la lealtà (3,21), ascoltare e apprendere dal Padre (6,45), voler realizzare il disegno di Dio (7,17), cono-scere il Padre (16,3). La verità cui Gesù rende testimonianza è la risposta all’aspirazione centrale dell’uomo: il desiderio di pienezza. La luce che è venuta nel mondo in Gesù è la concretizzazione ed espressione somma del progetto creatore di Dio, intrin-seco all’uomo stesso, che suscita e nutre il suo desiderio di vita. Coloro che si integrano nel sistema di ingiustizia e morte del mondo o che ne professano i principi sono nemici della vita; per questo non appartengono alla verità né ascoltano la voce di Gesù, cioè non gli danno la loro adesione (10,26).

Bisogna quindi leggere la sua regalità sullo sfondo dell’allegoria del pastore modello che dà se stesso per i suoi (Gv 10,11. 15), chiamati più ardi «suoi amici» (15,13), e per riunire i dispersi (11,52); egli non perderà nessuno di loro (18,9). Come re, è lui il Da-vide promesso, il pastore unico (Ez 34, 23: « Darò loro un pastore unico che le pascerà: il mio servo Davide; egli le pascolerà, sarà il loro pastore »). Il testo illude pertanto non solo alla regalità di Gesù, ma all’opposizione del pastore modello ai ladri e ai banditi (10,1. 8. 10). Per questo la verità cui Gesù dà testimonianza si oppone alla menzogna dei dirigenti (8,44.55). Coloro che lo riconoscono come re sono in mezzo al mondo (13,1; 7,11.15; cf 12,25), come lo era lui stesso, ma senza appartenergli 17, 14-16). La comunità che egli costituisce, il regno di Dio (3,3.5), prende una forma completamente diversa da quell’attesa.

I movimenti messianici tendevano a realizzare il regno di Dio all’interno delle cate-gorie della monarchia temporale (cf Gv 12,13.34). Gesù, il Messia-Re, non esercita il proprio regno come i re di questo mondo. Ciò non significa che non abbia incidenza sulla realtà sociale; la comunità che egli forma i presenta appunto come una alternativa non soltanto diversa, ma opposta ai sistemi di questo mondo. Il rapporto che vige fra Gesù e i suoi non è quello da signore a suddito, ma quello che intercorre tra chi Pro-pone la verità e coloro che l’accettano liberamente (cf Gv 15,13-15).

v. 38a: La battuta finale di Pilato dimostra il suo scetticismo, ma soprattutto il suo ve-ro interesse: la colpa di Gesù. Gesù si è dimostrato uno dei tanti sognatori, non lo con-sidera pericoloso e non preoccupa più di lui. Non c’è alcun reato commesso e allora non s’interessa più della sua persona. Quest’uomo di potere appartiene «a questo mondo», non alla verità, e non può ascoltare la voce di Gesù. L’offerta implicita di Ge-sù lo lascia insensibile. Non sa cosa sia la verità perché non conosce la vita.

PER LA NOSTRA VITA

1. Il nostro Padre è re, e tutti noi siamo principi ereditari. È vero che uno solo è Figlio a pieno diritto. Egli è venuto per proclamare il Regno del Padre: un regno paterno, e non un regno tirannico. E noi ci auguriamo che, dopo tanti regni e governi ingiusti o violenti, s’instauri davvero il regno del nostro Padre!

“Sei giusto, con giustizia governi l’universo

e stimi incompatibile con il tuo potere

condannare chi non merita castigo.

Perché la tua forza è il principio della giustizia,

ed esser padrone di tutti, tutti ti fa perdonare

ma tu, padrone del potere, giudichi con moderazione

e ci governi con molto indulgenza” (Sap 12,15-18).

[…] Io voglio pronunciare il tuo nuovo nome e riconoscere con gioia che il Padre di Gesù è il Re della Gloria.

Tu, Re Padre, hai celebrato le nozze del tuo Figlio, legittimo principe ereditario. Egli ha accettato e realizzato pienamente nella sua vita il tuo regno: lo ha annunciato, lo ha descritto nelle sue parabole e lo ha inaugurato. Come nel Sal 72, questo regno è un re-gno di giustizia in difesa dei poveri e di chi non ha diritti, un regno di prosperità dura-tura. Gesù non ha cercato di stabilirlo con la forza, servendosi di legioni di angeli; né ha voluto ribellarsi come Assalonne, contro un regno umano. Ha dichiarato che il suo regno non è di questo mondo (cfr Gv 18,36).

Il tuo Figlio ci ha comandato di proclamare e diffondere il tuo regno nella storia degli uomini. Nella preghiera noi ti chiediamo che esso “venga”; con l’azione opereremo perché venga.

Quand’è che potremo cantare al Padre,

che già viene

a reggere la terra:

reggerà l’orbe con giustizia

i popoli con rettitudine (Sal 98,9)?

Dovremo forse aspettare il compimento dell’Apocalisse?

Ha preso possesso del suo regno il Signore,

il nostro Dio, l’Onnipotente (Ap 19,6).9

2. Bisogna essere umili quando si tratta di Dio, sappiamo così poco di Lui. Siamo deboli e ignoranti quando si tratta di essere veraci nell’amare lui. Dio sa molto meglio di noi cosa occorre per noi, per e fare la sua volontà.

Siamo sempre debitori davanti a Dio quando si tratta di amore: rassicuriamo il no-stro cuore dinanzi a lui, che se in qualche cosa il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore.

Davanti a lui vale un’altra misura: tra grande e piccolo, tra attivo ed inerte. Ciò che dall’esterno può apparire debole e indigente, interiormente è pieno di forza e vitalità.

È la potenza della vita di Dio che opera nella nostra pochezza.10

3. Il fatto che milioni di uomini si siano nutriti del suo nome, che abbiano dipinto con oro il suo volto e fatto risuonare la sua parola sotto cupole di marmo, tutto questo non prova alcunché riguardo alla verità di quest’uomo. Non si può prestar credito alla sua parola sulla base della potenza che ne è storicamente scaturita: la sua parola è vera solo in quanto disarmata. La sua potenza è di essere privo di potenza, nudo, debole, povero: messo a nudo dal suo amore, fatto povero dal suo amore. Questa è la figura del più grande re dell’umanità, dell’unico sovrano che abbia chiamato i propri sudditi a uno a uno, con la voce sommessa della nutrice. Il mondo non poteva sentirlo. Il mondo sente solo quando c’è un po’ di rumore e potenza

L’amore è un re privo di potenza, Dio è un uomo che cammina ben oltre il tramon-to del giorno.

4. [Occorre] uno stile di vita che non discorda da quello di Gesù, che ha incarnato l’amore di Dio attraverso un’ospitalità delle persone più diverse incontrate nelle sue er-ranze, per paesi e villaggi. Egli fa precipitare Dio dal cielo regale della trascendenza, della purezza e della separatezza, per farlo accadere in una relazione fra persone differenti, con tutta la contingenza e l’instabilità, ma anche la promessa e la creatività che questo comporta. La verità umana, in questa concezione, non è quella del valore asso-luto né della sovranità bensì quella della relazione e della cura. Ogni identità esiste nella relazione: è solo nel rapporto con l’altro che cresco, cambiando. Ogni storia rinvia ad un’altra, e sfocia in un’altra. Ogni esistenza, ciascuno di noi, è sempre un grembo in formazione.

5. La salvezza divenuta manifesta in Gesù Cristo è una salvezza specifica. Essa porta il carattere della sua origine da Gesù, è cioè la pienezza di vita di Dio, potentemente imponentesi, che però continua a stare sotto la legge della sua ostile contesta-zione. Contro tale ostile contestazione essa non si impone con i mezzi della forza e della violenza, bensì more Dei, alla maniera di Dio divenuta manifesta in Gesù Cristo: ra-dunando, ispirando, superando la violenza, confidando nella superiore potenza di Dio rispetto alle potenze deleterie del mondo. La grandezza della potenza di Dio si è infatti manifestata nella risurrezione di Gesù come la sua donami (forza) capace di suscitare di nuovo la vita. Con questa potenza Dio si oppone in modo specifico a tutte le potenze e le potestà, la cui potenza consiste sempre nel fatto di lanciare delle minacce di morte o di dar effettivamente seguito a tali minacce. La potenza di Dio non consiste nel mettere a morte, bensì nella invincibilità della vita proveniente da lui.

Il giudizio di Dio sul mondo, consistente nella sua dynamis che si impone e che sta-bilisce la sua giustizia tra gli uomini come il nuovo ordinamento della vita, non rimane incontrastato. La natura specifica di questo giudizio esige che i giudicati lo accettino: senza la fede, senza la conversione alla rottura epistemologica che rende capaci di vede-re in colui che pende dalla croce il vincitore, senza la pistis Iesu Christu, senza la fede nel Crocifisso non esiste alcuna possibilità di pervenire alla vita voluta da Dio quale compendio della salvezza da lui donata.13

6. Fa piaga nel Tuo cuore

La somma del dolore

Che va spargendo sulla terra l’uomo;

Il Tuo cuore è la sede appassionata

Dell’amore non vano.

Cristo, pensoso palpito,

Astro incarnato nell’umane tenebre,

Fratello che t’immoli

Perennemente per riedificare

Umanamente l’uomo,

Santo, Santo che soffri,

Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,

Santo, Santo che soffri

Per liberare dalla morte i morti

E sorreggere noi infelici vivi,

D’un pianto solo mio non piango più,

Ecco, Ti Chiamo, Santo,

Santo, Santo che soffri”.

Nessun commento:

Posta un commento