venerdì 27 gennaio 2012

29 gennaio 2012 festa della santa famiglia nel rito ambrosiano

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
29 gennaio 2012
Carissimi, in occasione della festa della santa famiglia vi allego anche un mio intervento su Avvenire:
Denatalità e senso della generazione umana
L’amicizia per la vita e la nascita di nuovi figli è alla base di ogni civiltà veramente umana. Sembra che questa amicizia stia indebolendosi in tutto l’Occidente. Ci sono mille motivi pratici, ma non solo. Crediamo che, più ancora dei motivi pratici, conti la concezione della vita che punta esclusivamente alla realizzazione dell’individuo, una realizzazione a tutti i costi, anche contro l’amore e i legami più profondi. L’eterna adolescenza o narcisismo contemporaneo è nemico della nascita dell’uomo. Perciò è urgente riscoprire il significato della generazione dell’uomo.
Se in ogni azione dell'uomo c'è una mescolanza di senso e di scopo, si può dire che nella generazione, ci troviamo all'estremo in cui emerge in tutta la sua potenza l'appello a compiere un'azione per il suo significato e non per uno scopo.
Generare un figlio significa, proprio in quanto atto della libertà, fare un atto di fede nella vita. In questo atto di fiducia, la vita stessa scopre la sua verità più profonda. Il figlio costituisce una grazia, perché permette all'uomo e alla donna di superare il dubbio che la loro vita si consumi inutile, infatti soltanto dedicando la propria vita al figlio essa trova consistenza. Senza la capacità di questo atto di fiducia, la vita stessa rischia di trovarsi priva di senso, di gusto: una chiusura pregiudiziale alla generazione significherebbe infatti la mancanza di fiducia nella vita come qualcosa che sia degna di essere vissuta.
Questo atto di fiducia implica che si accetti il figlio senza nessuna condizione. La coppia che desidera il figlio deve alimentarsi con l'intenzione di accettare il figlio per quello che egli è. Solo così la procreazione realizza la verità della fecondità dell'uomo: accoglienza che fa vivere l'altro così come egli è. In nessun modo si può perciò pensare alla fecondità come a un fatto biologico, come viene sostanzialmente considerato da coloro che accettano di usare le tecniche di fecondazione artificiale.
Troppo povero e del tutto insufficiente a descrivere la realtà umana è il linguaggio di chi si ferma solo sull'aspetto biologico e parla solo di produzione di zigote o di un aggregato di cellule. Perciò è moralmente scadente la figura dell'uomo che volesse fabbricare il figlio, facendolo e disfacendolo a proprio piacimento con l'aiuto della tecnica. Con la fecondità fisica si procrea non qualcosa, ma qualcuno: si crea una nuova libertà. Per questo il figlio è l'opera più grande che un uomo e una donna possono fare.
Bisogna aprire gli occhi sul fatto che il bambino, con la sua presenza di persona, conduce i genitori a riconoscere il mistero della vita. Il figlio chiede quel rispetto dovuto alla libertà personale e chiede ai genitori di compiere quell'opera di espropriazione di sé, che significa riconoscimento che c'è una realtà che ci precede, che è indisponibile e che dobbiamo rispettare.
In tal modo il figlio, amato per se stesso, costituisce la verità della libertà degli adulti, perché la libertà è vera quando è capace di staccarsi da sé per impegnarsi nella cura indissolubile per gli altri. In questo caso è cura del figlio, a cui si promette di essere un dono con tutto se stessi.
Il figlio amato per se stesso, che non è frutto di un calcolo costi/benefici, ha la forza di far passare le persone dal rischio dell’eterna adolescenza alla maturità dell’adulto che ama gratuitamente. È un regalo straordinario che il figlio fa ai genitori: infatti non c’è uomo vero e maturo se non accetta di legare la propria libertà al voler bene, anche quando costa e si debbono fare sacrifici. Il figlio, con le sue esigenze sottrae la nostra vita alla superficialità e dalla irresponsabilità e ci introduce nella bellezza del legame d’amore tra le persone, il solo che costituisce l’adulto.
La denatalità dei nostri tempi non è solo un fatto pratico che ci sta conducendo al suicidio demografico, ma il segno di una umanità che vuole restare adolescente e irresponsabile, troppo ripiegata nella cura del proprio io. Come Narciso; ma come Narciso si muore se non si ritorna a crescere e a diventare adulti.

Lettura
Lettura del profeta Isaia 45, 14-17

Così dice il Signore: / «Le ricchezze d’Egitto e le merci dell’Etiopia / e i Sebei dall’alta statura / passeranno a te, saranno tuoi; / ti seguiranno in catene, / si prostreranno davanti a te, / ti diranno supplicanti: / “Solo in te è Dio; non ce n’è altri, / non esistono altri dèi”». / Veramente tu sei un Dio nascosto, / Dio d’Israele, salvatore. / Saranno confusi e svergognati / quanti s’infuriano contro di lui; / se ne andranno con vergogna / quelli che fabbricano idoli. / Israele sarà salvato dal Signore / con salvezza eterna. / Non sarete confusi né svergognati / nei secoli, per sempre.

Salmo
Sal 83 (84)

® Beato chi abita la tua casa, Signore.

L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. ®

Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. ®

Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore. ®


Epistola
Lettera agli Ebrei 2, 11-17

Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo:
«Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; / e ancora: / «Io metterò la mia fiducia in lui»; / e inoltre: / «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato».
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Vangelo
Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 41-52

In quel tempo. I genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Commento
Il Vangelo di Luca, a conclusione dei capitoli dell'infanzia, riporta il difficile testo di Gesù che si ferma nel tempio, a 12 anni, senza avvisare nessuno della sua famiglia, risultando perciò disperso.

Per intendere il testo, vanno riletti gli elementi proposti, sapendo che sono stati scritti a distanza di circa settant'anni, e dopo una enorme maturazione e riflessione sulla figura di Gesù. Non è perciò un fatto di cronaca che viene raccontato, ma un richiamo, all'inizio della vita adulta di Gesù, che sintetizza tutta la vicenda della sua vita e della sua morte. È infatti, come spesso avviene nei Vangeli, un testo carico di richiami simbolici e teologici.

Gesù, infatti, è condotto a Gerusalemme secondo l'usanza del tempo che, per sé, prevedeva tre incontri nell'anno per ogni ebreo maschio. Per coloro, però, che erano lontani, per i più devoti, era uso andare a Gerusalemme almeno una volta all'anno, normalmente nel periodo della Pasqua. Luca ricorda che, in questa occasione, Gesù ha 12 anni, e, a 12 anni, un ragazzo era ormai prossimo a quella festa in cui il ragazzo ebreo compie la cerimonia del "Bar miswah" (lett. "figlio del precetto") che identifica l'ingresso nella maggior età religiosa. Così, a 13 anni, ogni ebreo diventa religiosamente adulto ed è obbligato all‘osservanza integrale dei precetti. Diventa così "figlio del comandamento", direttamente, senza aver più bisogno della mediazione dei genitori.

Il testo è diviso in tre parti:

- Io smarrimento e il ritrovamento di Gesù (2,41-47) durante il pellegrinaggio. Il 12 tuttavia richiama anche il numero del popolo.
- il dialogo tra Maria e Gesù nel tempio (2,48-50) apre allo stupore di un ritrovamento, ma anche alla scoperta di una saggezza imprevista. Nelle parole di Maria c'è però anche un logico rimprovero: si riferisce alla violazione di una norma che prescriveva, a chi non era ancora maggiorenne, di vivere nella casa paterna. Gesù invece rivela che, stando nel tempio, non viola la legge, ma la osserva nel suo più profondo significato: il tempio, ritenuto la casa di Dio, è la vera casa paterna di Gesù, figlio di Dio. Giuseppe e Maria non capiscono ma accettano in silenzio questo mistero che si svelerà via via.
- la conclusione dell'episodio e dell'infanzia di Gesù (2,51-52).

Il tema di fondo, tuttavia, è dato dalla frase dì Gesù "Non sapete che debbo essere presso il Padre mio?" (traduzione che sembra più aderente al testo).

Gesù dimostra la sua dipendenza fondamentale dal Padre e quindi la sua consapevolezza e chiarezza nella vocazione e nell'ubbidienza ("devo").

Eppure egli resta sottomesso a Giuseppe e Maria. Vengono richiamati alcuni elementi già trovati: la partenza, il ricordo di Maria, la crescita. Gesù non è a caccia di autonomia ma esprime nella casa di Nazareth la sua volontà di amore e di rispetto verso i genitori nell'obbedienza ed "era loro sottomesso".

L'episodio sottolinea la fondamentale vocazione di Gesù: "Essere maestro nella Parola del Signore per individuare la volontà del Padre". Qui Gesù adolescente stupisce per la sapienza, nel tempio, in mezzo ai sapienti. Il testo, comunque, non presenta un ragazzo presuntuoso che vuole insegnare ai dottori della legge, ma richiama l'atteggiamento di un giovane intelligente, che ascolta ciò che i sapienti dicono e, desideroso di capire, pone domande. Questo è il modello di ogni saggio che scruta le Scritture ed è, anche, il modello di ogni discepolo che vuole conoscere.

Lo stupore, che questo giovane suscita, è per l'acutezza delle domande, per la ricerca di senso che egli vuol porre a sé e agli altri nella vita. Dovrebbe essere un grande insegnamento per noi che dovremmo interrogarci e interrogare molto di più e ascoltare più profondamente.

La stranezza della domanda di Gesù a Maria e Giuseppe: "Perché mi cercavate?" pone il problema del valore della vita di ognuno nei confronti del Signore. E l'inizio della propria maturità. Questo ragazzo desidera, dal primo momento, ricordare che il suo rapporto con Dio è un rapporto unico e totale.

Lo scontro tra le generazioni e la ricerca della vocazione disorientano persino la piccola e santa famiglia: non basta volersi bene. E' sempre, comunque, difficile capirsi.

C'è di mezzo un mistero di futuro che non resiste ai nostri schemi. Eppure Maria, da una parte, interroga e riflette in silenzio, dall'altra lei e Giuseppe non rinunciano alle loro responsabilità di madre e di padre. Perciò Gesù ritorna nella normalità.

Ma il simbolismo si accentua nel pensare ai tre giorni di assenza (come quelli della morte) e alla domanda: "Perché mi cercavate?" che corrisponde a quella degli angeli nella risurrezione: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?" (24,5).

Questo brano che, come spesso molti brani di Luca, è una sintesi della vita di Gesù, può diventare anche un bellissimo testo di riflessione sul nostri metodi educativi e sulle attese che abbiamo verso i figli e le nuove generazioni che crescono.

La famiglia trova così una sua preziosa vocazione: scoprire e vivere la volontà di Dio, educando e impegnandosi nel gratuito. Mentre si propongono i valori fondamentali della vita alle nuove generazioni, bisogna saper capire i figli, educandoli nella libertà e nella responsabilità: due dimensioni difficili che diventano così elementi di verifica e di ricerca tra noi adulti.

Ogni adulto è educatore, maestro, modello agli occhi di un ragazzo. Non accettiamo di dire, almeno sul nostro comportamento: "Nella vita privata il mio comportamento è un affare mio", soprattutto se abbiamo una rapporto stretto di responsabilità. Libertà e responsabilità suppongono che si debba chiarire, spiegare, motivare e, magari, in alcuni casi, chiedere scusa.

Ognuno di noi riceve un saggio esempio da Maria: "Maria custodisce e conserva tutto il messaggio nel suo cuore" per capire e vivere la volontà del Padre.

Gesù cresce a somiglianza del giovane Samuele "Il giovane andava crescendo in statura e bontà davanti al Signore e agli uomini" (1 Sam. 2,26).

Nessun commento:

Posta un commento