giovedì 23 settembre 2010

DOMENICA IV DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - 26 Settembre 2010

LETTURA
Lettura del libro dei Proverbi 9, 1-6

La sapienza si è costruita la sua casa, / ha intagliato le sue sette colonne. / Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino / e ha imbandito la sua tavola. / Ha mandato le sue ancelle a proclamare / sui punti più alti della città: / «Chi è inesperto venga qui!». / A chi è privo di senno ella dice: / «Venite, mangiate il mio pane, / bevete il vino che io ho preparato. / Abbandonate l’inesperienza e vivrete, / andate diritti per la via dell’intelligenza».

SALMO
Sal 33 (34)

® Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. ®

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. ®

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10, 14-21

Miei cari, state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti. Giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane. Guardate l’Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni.

San Paolo, nella sua prima lettera al Corinzi, affronta, tra gli altri, un problema che
divide la comunità cristiana in modo violento: si tratta di trovare comportamenti
coerenti e omogenei rispetto al “mangiare le carni offerte agli idoli” (pare fossero
cosi tutte le carni vendute al mercato). Alcuni cristiani, convertiti dal paganesimo,
continuavano ad avere congiunti e amici pagani legati ad abitudini di culto pagano.
Che fare? Partecipare ai culti? Mangiare carne proveniente dal mercato senza
indagare?
A Corinto ci sono opinioni differenti, ma anche lacerazione tra credenti a causa di
diversi comportamenti.
Paolo chiarisce che partecipare ai banchetti idolatrici fa conseguire una vicinanza
con la divinità che l'idolo rappresenta: non si tratta solo di mangiare, ma di attuare,
mediante il cibo, un orientamento, un incontro e una presenza del divino nel fedele.
Per il cristiano è lo stesso. San Paolo richiama il valore del pane e del vino che non
sono più solo elementi indispensabilmente legati alla nutrizione, ma acquistano
significati e richiami nuovi: il calice della benedizione è caricato di riferimenti al
sangue versato da Gesù sulla croce, il pane rende visibile e presente il corpo di
Cristo morto per la salvezza e l'unità di tutto il popolo.
L'unico pane spezzato, come l'Agnello pasquale condiviso da molti, rende tutti un
unico corpo: così il Corpo di Cristo diventa il corpo della Chiesa; i Cristiani che
partecipano all'unico pane diventano Corpo dato in offerta.
Più avanti, San Paolo completa dicendo che l'unità del corpo è operata dallo Spirito
nel Battesimo e nell'Eucaristia: "E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo
Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo
abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12,13).
Perciò i cristiani non debbono partecipare al culto degli idoli. Tuttavia non sono
obbligati ad indagare su eventuali operazioni cultuali precedenti, qualora siano stati
invitati ad un banchetto. Se non sanno la provenienza della carne, non si
preoccupino. Se invece ne sono consapevoli, allora se ne astengano per non
offendere la debolezza della fede di qualche fratello o sorella che potrebbe
scandalizzarsi (10,23-32).

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6, 51-59

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». / Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù sviluppa nella sinagoga di Cafarnao il significato
del pane distribuito a profusione, “segno” avvenuto oltre il lago.
Nella prima parte tutto il discorso di Gesù é centrato nelle due parole: pane-fede.
Nella seconda parte, che leggiamo oggi, si parla di pane-carne.
_ Il nostro incontro con Gesù si fa nella fede: “lo sono il pane della vita; chi viene a
me non avrà più fame e chi crede in me, non avrà più sete” (Gv. 6,35): bisogna accogliere
Gesù e la sua Parola.
_ Il nostro incontro con Gesù si completa in un gesto misterioso: “Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv. 6,54). Perciò non solo
credere ma anche “masticare” (é il significato del verbo greco tradotto con
“mangiare”).
_ L’elemento fondamentale della vita é Gesù, morto e risorto. Si aderisce a Lui
se si crede e si mangia nel suo mistero; se si aderisce a Lui e ci si nutre di Lui; se lo
si ama e ci si incorpora in Lui.
_ Mangiando di Lui, il discepolo abita in Lui (Gv.6,56-Gv 15,4-10). E tutta la
vita di Gesù “passa” nella propria vita. Si fa riferimento al pane azzimo pasquale.
Chi mangiava quel pane “passava”, faceva pasqua tra gli Ebrei (Pasqua significa
passaggio), ricordava la liberazione dall’Egitto alla terra nuova.
Questo testo si ricollega alla prima lettura del libro dei Proverbi.
Quando Gesù si offre come «il pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51) e
insiste, scandalizzando gli ebrei, sulla necessità di mangiarlo, non sta
invitando a un inconcepibile cannibalismo, ma sta presentando se stesso
come la Sapienza che tutti invita al suo banchetto e alla sua scuola. Egli, il
Figlio di Dio, il Logos, che operava come architetto fin dall'inizio della
creazione, è l’unico che conosce il senso del mondo e della storia e che lo
può autorevolmente interpretare. Egli ha dato un'interpretazione sapiente
dell'esistenza, con la sua vita così diversa e così paradossale. Una vita
sorprendente, scandalosa quanto affascinante, difficile da capire e da
imitare; eppure, la promessa di vita che veniva dalla sapienza dell'Antico
Testamento ha trovato realizzazione piena e definitiva soltanto nella vita di
Cristo, che ha potuto vincere la morte con la sua resurrezione. Dunque
davvero la follia della croce di Gesù è stata più sapiente di tutti gli sforzi
della sapienza umana, e non ci è data altra parola nella quale possiamo
sperare salvezza.
Quando Giovanni scrive il suo Vangelo, ormai i discepoli da molti anni celebrano
l’Eucaristia (siamo a circa 70 anni dalla morte e risurrezione). Perciò, attraverso
questo gesto, la comunità cristiana vive con profondità la presenza di Gesù morto e
risorto, si sente arricchita della forza e della grazia della sua presenza. Essa accoglie
ogni volta la sapienza nuova che va vissuta nella vita quotidiana come “pane di
vita”.

RITO ROMANO

Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”»

La morte, quando arriva, pone termine alla vita e diventa così un punto fermo
per valutare la qualità della vita di ciascuno di noi. Il contrasto tra il ricco, di
cui Luca non dice il nome, e il povero Lazzaro è volutamente stridente. La
sofferenza di Lazzaro non scalfisce il cuore del ricco e questo è il suo vero
peccato, non quello di essere ricco. Se la sofferenza del fratello non tocca il
cuore dell’altro, vuol dire che questo è un cuore indurito, non più capace di
comprendere e discernere quanto sta accadendo. La vista si è annebbiata, in
questo caso definitivamente.
Questa parabola, che Gesù dice ai farisei, mette in scena l’al di là, per parlare
di quello che accade in questo mondo. La sofferenza del ricco è motivo della
preghiera verso Abramo. Ma le regole della vita dell’al di là sono diverse da
quelle di questo mondo: la definitività della situazione di vita è la differenza
reale. In questo mondo c’è sempre tempo per convertirsi, ma la morte pone
termine a questa possibilità.
Il ricco si rivolge ad Abramo affinché Lazzaro vada a testimoniare alla sua
famiglia cosa gli è accaduto e il perché. Ma Abramo risponde che occorre
ascoltare la parola di Dio presente in Mosè e i profeti; lì c’è già tutto il
necessario per poter condurre una vita buona: basta leggerli con attenzione e
mettere in pratica quanto si è letto.
Ma il ricco sa quanto sia duro il cuore dell’uomo per esperienza personale e
chiede ad Abramo di mandare qualcuno che è morto, così che la sua famiglia
possa sapere cosa effettivamente c’è dopo la morte. Ma Abramo, che ha
vissuto una vita buona, e che anche lui conosce bene il cuore dell’uomo per
esperienza personale, afferma con decisione che se non ascoltano Mosè e i
profeti, non si convertiranno neanche alla vista di Gesù risorto dai morti.
Infatti gli ebrei che hanno seguito Gesù sono coloro che hanno accolto la sua
interpretazione autentica («In verità vi dico….») della parola di Dio e hanno
riconosciuto in Gesù colui che ha vissuto fino in fondo il comandamento
dell’amore di Dio e del prossimo, riassunto di tutta la legge.
La resurrezione di Gesù è testimonianza della sua vita buona: è perché è
vissuto bene che è risorto, cioè ha trovato la vita vera. E questo lo ha fatto
ascoltando la parola di Dio in quelle Scritture che noi chiamiamo Antico
Testamento. Esse ci istruiscono sulla via della vita, che Gesù ci ha mostrato
nella sua autenticità con le parole e con i fatti.
Confessare la propria fede in Gesù vuol dire accogliere il regno di Dio che lui
ha predicato e realizzato nel mistero pasquale.

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