mercoledì 29 settembre 2010

DOMENICA VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - 3 Ottobre 2010

Is 56,1-7; Sal 118; Rm 15,2-7; Lc 6,27-38


LETTURA

Lettura del profeta Isaia 56, 1-7

Così dice il Signore: / «Osservate il diritto e praticate la giustizia, / perché la mia salvezza sta per venire, / la mia giustizia sta per rivelarsi». / Beato l’uomo che così agisce / e il figlio dell’uomo che a questo si attiene, / che osserva il sabato senza profanarlo, / che preserva la sua mano da ogni male. / Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: / «Certo, mi escluderà il Signore dal suo popolo!». / Non dica l’eunuco: / «Ecco, io sono un albero secco!». / Poiché così dice il Signore: / «Agli eunuchi che osservano i miei sabati, / preferiscono quello che a me piace / e restano fermi nella mia alleanza, / io concederò nella mia casa / e dentro le mie mura un monumento e un nome / più prezioso che figli e figlie; / darò loro un nome eterno / che non sarà mai cancellato. / Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo / e per amare il nome del Signore, / e per essere suoi servi, / quanti si guardano dal profanare il sabato / e restano fermi nella mia alleanza, / li condurrò sul mio monte santo / e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. / I loro olocausti e i loro sacrifici / saranno graditi sul mio altare, / perché la mia casa si chiamerà / casa di preghiera per tutti i popoli».

Stiamo leggendo il primo brano della terza parte del libro di Isaia (56,1-66,24). Il libro di Isaia contiene le

parole di diversi profeti. Solo alcuni brani nella prima parte del libro (cc. 1-39) possono essere fatti risalire

direttamente a Isaia (primo Isaia), il profeta vissuto in Giudea nell'VIII sec. a.C.

A partire dal c. 40 si incontrano oracoli che furono pronunciati (o scritti) all'epoca dell'esilio in Babilonia

(587-538 Secondo Isaia)).

Gli ultimi capitoli (cc. 56-66) sono invece da collocare dopo il ritorno dall'esilio e dopo la ricostruzione

del tempio di Gerusalemme (terzo Isaia).

Si deve quindi pensare che alcuni profeti, di cui non conosciamo il nome, richiamandosi all'opera di Isaia,

al suo pensiero, al suo linguaggio e al suo stile, abbiano prolungato la raccolta dei suoi scritti,

aggiungendo oracoli che rispecchiavano le nuove situazioni storiche del popolo d'Israele.

Così questo testo, attribuito al terzo Isaia e ritenuto discepolo spirituale del secondo Isaia riferisce la

consolazione che Dio offre al suo popolo ed il messaggio delle meraviglie che il Signore opera per la

nuova Gerusalemme, ricostruita e ripopolata. Alla salvezza di Dio deve corrispondere la cooperazione dei

rimpatriati affinché regni la giustizia nella città santa.

La liberazione da Babilonia ha aperto molte speranze, ma l’esperienza faticosa della convivenza con un

popolo pagano e vincitore ha obbligato a grandi riflessioni e maturazioni. E comunque è stata una

convivenza con un popolo straniero di alta cultura.

Israele si è sempre mantenuto lontano dagli altri popoli, alimentando diffidenze e sospetti poiché, per

pregiudizi pericolosi, immaginava che tutti i pagani fossero corrotti ed immorali.

Il testo del Deuteronomio (7,2-4) impegna a non fare alleanze con gli stranieri né ad imparentarsi con loro.

L’esperienza dell’esilio ha fatto loro ripensare ad atteggiamenti diversi. Ha fatto superare paure e

pregiudizi. Anche a Babilonia, hanno incontrato uomini e donne di fiducia, giusti, portatori e portatrici di

valori condivisi.

Il profeta, mentre offre suggerimenti di fedeltà, incoraggia a prepararsi al tempo nuovo: “Osservate il

diritto e praticate la giustizia”. Perciò ai rimpatriati è rivolto l'invito, superando la tentazione

dell'esclusivismo, cioè di formare una comunità etnicamente pura. Il profeta annuncia che adesso, per

volontà del Signore, potranno aderire anche coloro che prima erano esclusi come lo straniero e l'eunuco,

purché vivano le esigenze dell'alleanza.

Insieme, con molta saggezza, anche gli stranieri giusti sono condotti al monte santo (Gerusalemme-Sion)

di Dio come gli israeliti e con gioia pregheranno insieme nella casa di preghiera che è “Casa di preghiera

per tutti i popoli”. Così la condizione proposta per tutti è la pratica del riposo del sabato come segno

dell'alleanza (Es 31,12-17) e la pratica della giustizia e della fedeltà all'alleanza e non il legame di sangue

o la purità legale.

Il progetto di speranza e di liberazione, delimitato ad Israele come custode dell’Alleanza e dell’amore di

Dio, in realtà è liberazione per tutti gli uomini. Questo incomincia a realizzarsi nel tempio. Per noi deve

incominciare nella Comunità cristiana, come il momento di maturazione e formazione. Ma poi il nostro

posto è nel mondo, come un popolo che porta speranza nella quotidianità con tutti gli altri che

incontreremo. Il Signore vuole che ciascuno si offra come accompagnatore di tutti coloro che accettano di

cercarlo verso il monte di Dio.

SALMO

Sal 118 (119)

® Signore, conservo nel cuore le tue parole.

Come potrà un giovane tenere pura la sua via?

Osservando la tua parola.

Con tutto il mio cuore ti cerco:

non lasciarmi deviare dai tuoi comandi. ®

Ripongo nel cuore la tua promessa

per non peccare contro di te.

Benedetto sei tu, Signore:

insegnami i tuoi decreti.

Con le mie labbra ho raccontato

tutti i giudizi della tua bocca. ®

Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia,

più che in tutte le ricchezze.

Voglio meditare i tuoi precetti,

considerare le tue vie.

EPISTOLA

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 15, 2-7

Fratelli, ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene, per edificarlo. Anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma, come sta scritto: «Gli insulti di chi ti insulta ricadano su di me». Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. / Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Luca 6, 27-38

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. / Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Luca continua il “discorso della pianura”, riprendendo in parte il “discorso della montagna” di Matteo e

ripropone il tema centrale del discorso delle Beatitudini in 4 parti:

- le beatitudini e le maledizioni (6,20-26)

- l’esortazione sull’amore per i nemici (6,27-36) diviso in tre strofe

- la parabola con 4 immagini: il cieco, la trave, l’albero, il tesoro, (6,39-45)

- la casa fondata sulla roccia (6,46-49).

Il seguito del discorso delle “Beatitudini” di Matteo (capp 5-7) viene ripreso nella “sezione lucana” detta

“grande inserto” e che va dal cap. 9 al cap. 19. Se Matteo sceglie, come cornice della predicazione di

Gesù, “il discorso” (ce ne sono infatti cinque, come i 5 libri di Mosè), Luca preferisce svolgere la

predicazione di Gesù lungo la strada che lo porta dalla Galilea a Gerusalemme. In questo viaggio vengono

anche raccontate parabole proprie del Vangelo di Luca: il buon Samaritano, il figliol prodigo, il ricco

epulone.

Una piccola osservazione interessante: da notare l’insistenza del numero 4 che indica la terra, l’orizzonte

umano, l’universale mentre il 3 richiama il cielo e il 7 ricorda la creazione del cielo e della terra.

Le dimensioni dell’amore cristiano

- Le dimensioni dell’amore cristiano sono smisurate: non c’è limite poiché l’amore non è posto

come dovere ma come stile di fedeltà alla Parola di Dio e alla testimonianza di Gesù. La legge del perdono

va fino al rinnegamento di sé e al dono totale di sé agli altri.

- A Gesù non interessa solo estendere al massimo l’arco dei destinatari, ma anche la pienezza

degli atti: “dire-fare, pregare e donare, vedere e provvedere”. Da notare il crescendo: “amate, fate del

bene, benedite, pregate” e le azioni concrete: “porgi la guancia, non rifiutare, dà, non richiedere”.

- Viene rilevato un crescendo: “vostri nemici, coloro che vi odiano, coloro che vi maledicono,

coloro che vi maltrattano” e quindi: “chi ti percuote, chi ti leva il mantello, chiunque ti chiede, chi prende

del tuo”. Sono situazioni che si ripercuotono nella vita quotidiana e che rimandano a scelte “evangeliche”.

- E’ un ideale realizzabile a cui si sono ispirate le comunità cristiane del I secolo, ideale di nonviolenza,

ideale di discepoli poveri, affamati, dolenti, perseguitati.

- Il modello dell’amore cristiano è divino: “Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre” (v 36).

E’ un amore attento e tenero, un amore paterno e fraterno, altruistico, disinteressato e gratuito, infaticabile,

che si libera da egoismi e da confronti (non accetta il “Ti do se mi dai”), un amore “a perdere”. E’ un

modello divino che si incarna in gesti umani e concreti e perfino provocatori.

Le motivazioni dell’amore cristiano

- Le motivazioni dell’amore cristiano sono sconfinate. L’ideale proposto non ha una

giustificazione umana, ma è sostenuta dalla speranza conclusiva del dono che Dio farà a noi di se stesso

alla fine dei tempi.

- Per ricevere il suo dono, bisogna prepararsi e poiché Dio è misericordioso, bisogna essere

misericordiosi. Matteo usa il termine: “Siate perfetti” (5,48), Luca usa il temine: “Siate misericordiosi”.

Egli è “l’evangelista della misericordia di Gesù”.

- Il regalo che viene dato non consiste nell’avere da Dio qualche cosa, ma “nell’essere figli

dell’Altissimo”. Domani sarete in pienezza ciò che cercate di realizzare: figli di Dio. Tuttavia questa

figliolanza è dono di Dio e realtà che si esprime mediante il pentimento, la fede in Gesù e le buone opere.

La misura dell’amore cristiano

- La pratica della misericordia, a imitazione di Dio, avviene mediante il perdono (v.37) e l’offerta

generosa dei beni propri (v.38).

- Anche qui ci sono 4 imperativi, due negativi e due positivi: “Non giudicate, non condannate,

perdonate, date”. A questi corrispondono dei verbi passivi che esprimono la risposta di Dio.

- L’immagine finale della “misura” è l’invito ad investire le proprie ricchezze sullo stile di Dio

che non si lascia vincere in generosità.

- Tutto questo in vista del perdono-dono che riceveremo. Anche qui il comportamento di Dio

diventa modello.

- Ma è conciliabile l’amore con la giustizia? L’amore, mentre porta a compimento la giustizia

integrandone le manchevolezze, corregge asprezza e inflessibilità. E richiede il perdono delle offese.

Allora rappresenta un colpo di spugna sul passato? Il perdono non richiede l’oblio ma una memoria sana e

non inquinata dall’odio. Mentre accetta la dimenticanza, non smette di cercare le cause dell’offesa che ha

reso l’altro incapace di amore.

RITO ROMANO

VANGELO

Luca 17,5-10

In quel tempo, 5 gli apostoli dissero al Signore: 6 «Accresci in noi la fede!».

Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste

dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi

obbedirebbe.

7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando

rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8 Non gli dirà piuttosto:

“Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato

e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9 Avrà forse gratitudine verso quel servo,

perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto

tutto quello che vi è stato ordinato, dite:“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto

quanto dovevamo fare”».

Molti confessano, al giorno d’oggi, la debolezza della propria fede e

possono dunque associarsi a questa richiesta degli apostoli a Gesù:

«accresci in noi la fede!». Tutti, poi, abbiamo bisogno di crescere nella

fede nel Signore Gesù, per approfondire il suo mistero pasquale di

salvezza.

Gesù risponde in due tempi. Dapprima constata che effettivamente la fede

degli apostoli è debole, meno ancora di un granello di senape, che è molto

piccolo. Essa ci darebbe la forza di fare cose strabilianti come mutare alla

radice il nutrimento di una pianta. Il sale non fa bene alle piante eppure,

tramite la fede, saremmo capaci di trarre la vita anche dalle cose che non

fanno bene.

Poi fa seguire una parabola che mostra come il Signore chiama a un

banchetto i propri servi, a differenza degli uomini che si fanno servire dai

servi perché è così che va il mondo. Il Signore è grato a tutti coloro che si

mettono ad evangelizzare con amore. La fede che gli apostoli chiedono di

accrescere, è accresciuta dal modo di fare del Signore che non li tratta

come servi, ma come commensali.

Tuttavia l’evangelizzazione è un servizio, e dunque quanto facciamo per

annunciare Gesù risorto è dovuto come il servizio dei servi, che proprio

perché obbediscono al Signore, non possono vantarsi di ciò che fanno.

Devono semplicemente riconoscere che quanto operano viene da colui che

glielo ha richiesto.

La gloria dell’evangelizzazione non viene da noi, ma dal Signore che ci ha

salvato nella pasqua vissuta da Gesù. Noi siamo inutili nel senso che non

produciamo la salvezza, ma siamo necessari per rendere presente il

Signore ai fratelli che incontriamo ogni giorno, testimoniando con la

nostra vita la fede nell’amore di Dio.

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