martedì 5 ottobre 2010

novita' novita' novita' Domenica 10 Ottobre 2010

Novità!!!

Da oggi il commento al vangelo avrà una forma diversa:

In linea generale commenterò solo il testo del vangelo, per evitare dispersioni. Ma la cosa più importante e nuova consiste nell’estrazione di un tema posto dal vangelo e nella sua trattazione più ampia e profonda.

Oggi cominciamo con il tema dell’accoglienza che ci porta a riflettere sul fondamentale valore della relazione interumana.

In fondo metterò il testo del vangelo secondo il rito romano, con un commento di autori qualificati.


VANGELO di rito ambrosiano


Lettura del Vangelo secondo Matteo 10, 40-42

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Commento

In poche righe il Vangelo (ricordiamo sempre che di tratta della parola di Gesù) svolge una profondissima teoria delle relazioni personali:

- Gesù vuole essere accolto da ogni uomo; accogliere Lui vorrà dire accogliere la Vita. Quindi occorre scegliere di accoglierlo se si vuole entrare nella vita vera.

- l’accoglienza della persona del prossimo realizzerà l’accoglienza della persona di Cristo, quindi accogliendo l’uomo si accoglie Dio.

- È un’idea originale del vangelo.

Ritroviamo questa novità assoluta in un altro fondamentale passo di Matteo: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?".Gli rispose: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".

Qui i due comandamenti, quello di amare Dio e di amare luogo sono legati inscindibilmente. Questo legame fa del Cristianesimo non una teoria, ma una vita concreta. La fede in Cristo diventa apertura del cuore e delle mani agli uomini, in un atteggiamento di servizio e di amore.

- sembra che il discorso sia riservato solo ai discepoli. In realtà l’argomentazione riguarda tutti gli uomini, che in Cristo sono stati fatti figli di Dio.

- le parole di Gesù possono estendersi a tutti gli uomini perché per essere uomini è necessario accogliersi vicendevolmente. L’uomo non è autosufficiente, anche se crede di esserlo.

- MARTIN BUBER. Per una riflessione approfondita sulla necessità della relazione umana come via essenziale alla comprensione alla realizzazione della persona, ci facciamo aiutare dal pensiero del filosofo ebreo austriaco Martin Buber. Se è un pò difficile fate lo sforzo di pensare o di interrogarmi via mail.

Io e Tu (Ich und Du)

Nella sua filosofia , Martin Buber sottolinea la propensione duplice verso il mondo:

la relazione Io-Tu e la relazione Io-esso.
Né l'Io, né il Tu vivono separatamente, ma essi esistono nel contesto Io-Tu, antecedente la sfera dell'Io e la sfera del Tu. Così, né l'Io né il esso esistono separatamente, ma esistono unicamente nel contesto Io-esso.

La relazione Io-Tu è assoluta solo rispetto a Dio - il Tu eterno - e non può essere pienamente realizzato negli altri domini dell'esistenza, comprese le relazioni umane, dove sovente Io-Tu fa posto all'Io-esso (Io-Tu o Io-esso non dipendono dalla natura dell'oggetto, ma dal rapporto che il soggetto istituisce con l'oggetto).

L'essere umano non può trasfigurarsi ed accedere a una dimensione di vita autentica senza entrare nella relazione Io-Tu, confermando così l'alterità dell'altro, che comporta un impegno totale: “La prima parola Io-Tu non può essere detta se non dall'essere tutto intero, invece la parola Io-esso non può mai essere detta con tutto l'essere”. Io e Tu sono due esseri sovrani, l'uno non cerca di condizionare l'altro né di utilizzarlo.

Secondo Buber l'uomo può vivere senza dialogo, ma chi non ha mai incontrato un Tu non è pienamente un essere umano. Tuttavia, chi si addentra nell'universo del dialogo assume un rischio considerevole dal momento che la relazione Io-Tu esige un'apertura totale dell'Io, esponendosi quindi anche al rischio del rifiuto e al rigetto totale.

La realtà soggettiva dell'Io-Tu si radica nel dialogo, mentre il rapporto strumentale Io-esso si realizza nel monologo, che trasforma il mondo e l'essere umano stesso in oggetto. Nel piano del monologo l'altro è reificato - è percepito e utilizzato - diversamente dal piano del dialogo, dove è incontrato, riconosciuto e nominato come essere singolare. Per qualificare il monologo Buber parla di Erfahrung (una esperienza “superficiale” degli attributi esteriori dell'altro) o di Erlebnis (una esperienza interiore insignificante) che si oppone a Beziehung - la relazione autentica che interviene tra due esseri umani.

Lo "stretto spartiacque"

Queste convinzioni si oppongono tanto all'individualismo, dove l'altro non è percepito che in rapporto a se stessi, quanto alla prospettiva collettivista, dove l'individuo è occultato a vantaggio della società.

Vi è chi ha utilizzato questa idea per spiegare il passo biblico della “dispersione delle lingue”: nessun individuo è nominato, perché la lingua unica conosce una voce unica. Babele vive intera sotto lo stivale di un dirigente che ha una sola idea: uguagliare Dio. Ma è Questi dunque a intervenire facendo nascere il sentimento dell'essere intero, non cosificato.
Per Buber una persona non può vivere nel senso pieno della parola se non si trova nella sfera interumana: “Sullo stretto spartiacque dove l'Io e il Tu si incontrano, nella zona intermediaria”, che è una realtà esistenziale - un evento che avviene realmente tra due esseri umani.

Il volto dell'Altro e il volto di Dio

Il pensiero in Buber con la sua concezione che afferma l'essenza della vita come relazione per cui non si dà una soggettività che non sia simultaneamente intersoggettività sembra muoversi verso una concezione unitaria dell'essere, tuttavia questa direzione del suo pensiero si ferma proprio là quando si tratta di affrontare le due realtà, quella umana e quella divina trattate sino ad oggi come appartenenti a due ordini differenti. Egli infatti nel ribadire come nell'unità dialogica, la "coppia Io-Tu", il volto dell'Altro rimanda sì al volto di Dio ma non è comunque il volto di Dio mantiene l'insanabile frattura tra la realtà mondana e la realtà divina come separazione insuperabile.

Questa difficoltà della filosofia di Buber è superata dall’annuncio cristiano dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Nell’Incarnazione Dio, chiamato anche il Totalmente Altro, perché non lo si può conoscere senza che Lui stesso si riveli, prende la carne umana, si fa Figlio dell’uomo, se ne può guardare il volto e come Lui stesso dice, ogni volta che si accoglie un uomo si accoglie Dio stesso e si dissolve ogni schizofrenia tra mondo trascendente e mondo immanente.

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