martedì 19 ottobre 2010

Domenica 24 Ottobre 2010 LA VOCAZIONE



I dopo la Dedicazione - Il mandato missionario

Lettura del Vangelo secondo Matteo 28, 16-20

In quel tempo. Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Il vangelo della prossima domenica pur essendo breve contiene molti temi.

Innanzitutto il dubbio dei discepoli, che rimane anche di fronte alla presenza del Risorto.

In secondo luogo il potere universale di Cristo, fondamento dell’opera missionaria della Chiesa

L’ordine di predicare il vangelo e di battezzare tutte le genti.

Infine la promessa di Cristo di essere sempre accanto ai discepoli.

C’è da confondersi!

Scelgo per questa volta il terzo punto: il comando di Cristo di annunciare il Vangelo a tutte le Genti.

Questo comando può essere visto almeno sotto due profili: a) il vangelo è necessario per la vita di ogni uomo. Restare senza vangelo significa restare senza la luce, il senso della vita, l’amore vero, la speranza che vince la morte.

b) il secondo profilo è quello per cui si manifesta il progetto di Dio e tale progetto diventa la vocazione dell’uomo. È su questo punto che ci fermiamo.

Dal comando di Gesù nasce la vocazione per l’uomo.

Avete mai pensato che Pietro e gli altri apostoli hanno cambiato vita nella maturità?

Ciò è accaduto perché Gesù con la sua amicizia, la sua parola, il suo esempio ha sconvolto la gerarchia di valori e di abitudini che si era sedimentata nella loro esistenza.

Dopo l’incontro con Cristo, gli apostoli ritengono che insieme a Lui si può anche dare la vita (e dopo la Pentecoste lo faranno tutti).

Da Cristo non vogliono più essere separati. Tutto ciò che non porta a Lui è spazzatura dice s. Paolo.

La convinzione di questi semplici personaggi del popolo ebreo è elementare, ma decisiva: Cristo è il tesoro vero della vita. Quello che ti dirà di fare sarà il bene vero per la tua vita. Alle nozze di Cana, Maria disse: “fate quello che vi dirà”.

Dopo la risurrezione, Gesù li invia al mondo ed essi faranno ciò che Lui dice.

Si entra nella logica della vocazione religiosa quando si crede che la vita sarà spesa bene non quando realizziamo i nostri progetti elaborati per noi stessi e per il nostro prestigio, ma quando si farà ciò che Dio ci chiederà di fare.

Dove Dio mi metterà, là io staro bene.

Questa convinzione fa a pugni con la moda contemporanea della autorealizzazione, vista come affermazione di se stessi in termini di potere, denaro, visibilità. Questo aspetto è talmente chiaro che è inutile insistervi.

Le vocazione religiose sono in calo per questo motivo: non mi fido del posto che Dio mi assegnerà e non cerco neppure la sua eventuale chiamata; e sono invece concentrato nella conquista della mia posizione.

La sparizione del matrimonio come vocazione

Il fatto più preoccupante dei nostri tempi non è però il calo delle vocazioni religiose, ma la tendenziale sparizione delle vocazione matrimoniale.

E si capisce.

Se smetti di ascoltare Dio perché hai paura di amare secondo la sua prospettiva, smetterai di amare. Punto.

L’uomo e la donna smettono di stare insieme? Ovviamente no (almeno nella generalità). Ma smetteranno di stare insieme secondo il progetto del dono d’amore reciproco e totale. Siccome non si può stare soli, si sta insieme in qualche modo, spesso senza entusiasmo, senza speranza, senza gioia.

La perdita o la conquista della giovinezza

Due anni fa un mio caro amico don è partito per Haiti, il paese più disgraziato del pianeta. Niente di strano dato che di missionari ce ne sono ancora. Il fatto è che questo era un apprezzato parroco di un nostro paese del varesotto e alla bella età di 67 anni decide di andare in missione e proprio là.

Quando ero giovane mi aveva fatto molti regali con la sua testimonianza e amicizia, ma questo è stato il più grosso dono che mi abbia fatto.

Mi ha fatto capire che la vocazione non è fatto di una volta, anche se nella giovinezza si fanno le scelte più decisive, ma rimane evento che accompagna la vita della persona.

Un uomo vivo si chiede sempre a quale amore deve rispondere. Se fa così è sempre giovane. Ed è sempre capace di sorprese.

Chi sta vicino a Gesù e gli dice di sì ha scoperto il segreto della vita che non muore.

RITO ROMANO

Luca 18,9-14

In quel tempo, 9 Gesù disse ancora questa

parabola per alcuni che avevano l’intima

presunzione di essere giusti e disprezzavano

gli altri:

10 «Due uomini salirono al tempio a

pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra

sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono

come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri,

e neppure come questo pubblicano. 12

Digiuno due volte alla settimana e pago le

decime di tutto quello che possiedo”.

13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza,

non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo,

ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi

pietà di me peccatore”.

14 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro,

tornò a casa sua giustificato, perché

chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si

umilia sarà esaltato».

Luca 18,9-14

L’intima presunzione di essere giusti, disprezzando gli altri, per Gesù arriva fino

alla preghiera, che dovrebbe essere il luogo di verità per ciascuno di noi, in

quanto ci ritroviamo faccia a faccia con il Signore. La preghiera è il luogo

privilegiato in cui la memoria di ciò che contraddice il senso della vita viene

posto davanti al Signore per ottenere una risposta da parte sua.

Con questa parabola Gesù vuole aiutarci a capire che nessuno si può considerare

migliore degli altri. Anche Paolo, che abbiamo visto nella seconda lettura essere

convinto della bontà della propria vita, ai Filippesi scrive così: «ciascuno di voi,

con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» (2,3).

Il fariseo alimenta la propria presunzione nell’osservanza dei comandamenti e dei

rituali religiosi. Egli si fa forte della propria fedeltà alla legge per giudicare gli

altri, invece di ringraziare il Signore per quanto ha ricevuto gratuitamente da lui.

Per questo si ritrova in una situazione di non verità, perché non sa riconoscere la

realtà della propria vita, che non è merito suo, in quanto il dono originario viene

dal Signore e lui vi ha solo corrisposto con giustizia. Non è lui la fonte della sua

vita buona, ma il Signore.

Il pubblicano è consapevole della propria condizione di peccatore, e chiede al

Signore di avere pietà di lui. Egli si ritrova così nella verità della propria vita e

proprio per questo sarà esaudito.

Gesù conclude con un detto sull’esaltazione e l’umiltà. Quest’ultima è condizione

necessaria e sufficiente per ottenere la salvezza: necessaria perché senza l’umiltà,

che parte dalla consapevolezza della propria condizione di fragilità, ci ritroviamo

nella menzogna; sufficiente perché chi è umile sa accogliere la salvezza che viene

da Dio, che ama gli umili («Il Signore ama il suo popolo, incorona gli umili di

vittoria» Sal 149,4).

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